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Morto Ivano Marescotti. Addio all’attore per caso che amava Raffaello Baldini e ha illuminato i film di Benigni e Zalone
Addio piccolo grande Ivano. Attore per caso a 40 anni, Ivano Marescotti da Bagnacavallo (Ravenna), geometra comunale prima, caratterista cinematografico sommo e assoluto per Benigni, Zalone e Muccino dopo. Un grande talento comico, un brillante fustigatore politico, un uomo onesto che non si è mai perso tra i vezzi dello showbiz che l’ha voluto su ogni set. Marescotti è morto a 77 anni dopo una lunga malattia. Tante le soddisfazioni artistiche per il ravennate che aveva scelto poi di vivere nel centro di Bologna. La direzione artistica del teatro di Conselice per quasi un decennio, uno spettacolo (La Fondazione) tratto dal poeta romagnolo Raffaello Baldini, e poi i film. Tanti, tantissimi, quasi impossibili da elencare. A partire dalle Strane storie di Sandro Baldoni, L’aria serena dell’Ovest di Soldini, e poi gli exploit clamorosi in Johnny Stecchino e Il mostro di Benigni negli anni ’90; le megaproduzioni internazionali come Hannibal di Ridley Scott e King Arthur con Clive Owen; infine negli anni duemila l’apice da spalla in Cado dalle nubi e Che bella giornata del duo Nunziante/Checco Zalone. Lascia la moglie, ex allieva, sposata in seconde nozze lo scorso anno, Erika Leonelli, e la figlia Iliade avuta con la prima moglie Ifigenia Kanarà.
Marescotti, da impiegato comunale ed attore. “Per fare il mio mestiere ci vuole “Oc, stomich e bus de cul”. “Oc” perché devi essere nel momento giusto al punto giusto, “stomich” perché per andare avanti devi mandare giù rospi, “bus di cul” perché senza questo gli altri due…” Eccolo il bus di cul di Ivano. Quando nell’estate del 1980 non va in ferie e sostituisce un amico attore in uno spettacolino teatrale per bambini alla Montagnola di Bologna. I bimbi si divertono un mondo e Marescottii a quasi 40 anni sceglie di fare l’attore. Via l’impiego fisso per le incertezze del palco. Questo è stomich, insomma. Perché ci vuole coraggio a buttarsi nel vuoto. Amava dire, Ivano, che mentre gli altri diventavano craxiani e berlusconiani lui si dava al teatro. Strada impervia quella intrapresa, quintali di dizione che scioglie le ruvidità del dialetto romagnolo a leggere romanzi in un istituto per ciechi, e poi le chiamate che arrivano e rispondono al nome di Leo De Berardinis, Marco Martinelli, Giorgio Albertazzi. C’è la comparsata che sfugge in Ginger e Fred di Fellini, e per campare ci vorrebbe qualcosina di più duraturo. Altro bus de cul, o forse Ivano avrebbe detto che ha avuto dell’oc lui, è quando lo nota a teatro Silvio Soldini. Il regista milanese in pieno mood dolente e grigio, vuole Marescotti come co-protagonista (è un chimico) del suo film più antonioniano. È il 1991. L’ex impiegato del comune è diventato sul serio un attore di cinema. Tempo di interpretare il caporedattore del più grande quotidiano italiano che rifiuta il pezzo del giornalista (Corso Salani) che indaga sulla strage di Ustica ed è tempo di Johnny Stecchino. Anzi di Roberto Benigni che appena lo vede si chiede: ma Ivano fino ad oggi dove sei stato? Marescotti diventa spalla, antagonista di Benigni nei panni dell’arcigno dottor Randazzo in uno dei campioni d’incasso italiani di tutti i tempi. Il comico toscano lo rivuole ne Il Mostro, tre anni dopo, dove interpreta Pascucci e duetta più sciolto e sborone col catatonico Loris (Benigni) finendo anche a fare il mimo passivo sotto il fare erotico del corpo elastico del toscanaccio.
Sempre nel ’94 è protagonista assoluto, anche se diviso per tre nei tre episodi di Strane storie di Sandro Baldoni. Memorabile è la parte grottesca del tizio che non ha pagato la bolletta “dell’aria” e che travolto dalla tosse cerca di andare a saldare la morosità in posta mentre ad ogni metro perde sempre più fiato. Sempre negli anni novanta lavora con Pupi Avati, è il papà di Stefano Accorsi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo della Negroni, comincia a lavorare nei film di Carlo Mazzacurati e poi nei primi anni duemila finisce sui set a produzione hollywoodiana come Il talento di Mr. Ripley, Hannibal ma soprattutto è il vescovo Germanius nell’epica storico avventurosa di King Arthur di Antoine Fuqua. “Ho compiuto due bluff clamorosi, visto che non sapevo l’inglese”, ci aveva spiegato Marescotti in un’intervista. “Con Fuqua, una volta che me la sono cavata con il mio inglese maccheronico firmo il contratto e la produzione mi dice “of course, è un film di cavalieri quindi è sottointeso che lei sappia cavalcare”. Io, che al massimo, ho visto i cavalli nei film western ho risposto: “of course”. Tra il 2009 e il 2011 poi la consacra zie da brillante caratterista a fianco di Checco Zalone sia in Cado dalle nubi che in Che bella giornata dove fa il colonnello Mazzini e impazzisce di fronte al ciclone zaloniano. Tra il 2017 e il 2018 una perla e un successo stratosferico: è prezioso coprotagonista di Lovers di Matteo Vicino e nella parte che Muccino voleva per Johnny Dorelli affianca magistralmente la “moglie” Stefania Sandrelli come capoclan della nutrita famiglia protagonista di A casa tutti bene.
Il teatro e la politica. Marescotti ha sempre coltivato con grande umiltà un amore sincero e profondo per il dialetto romagnolo e si è dedicato alle opere di Raffaello Baldini, portandole in scena più volte, tra cui l’apice più organico e formale è La fondazione, una produzione ERT che gira i palchi italiani. Il suo attaccamento al teatro l’ha portato a diventare per quasi dieci anni direttore artistico del teatro di Conselice (Ravenna) e recentemente fondatore di un Accademia che prende il suo nome e che ora ne dovrà onorare la carriera e gli insegnamenti. Fiero antifascista, nel 2014 Marescotti si candida alle Europee nella Lista Tsipras e finisce al centro di un boicottaggio Rai da mettere negli annali. “La Rai ha compiuto un atto di cialtronaggine senza precedenti”, spiegò Marescotti al Fattoquotidiano.it, “Mi hanno cercato alle 9 della mattina di Pasqua e poi per tutto il giorno e anche a Pasquetta. Mi hanno fatto pressione, attraverso la mia agenzia, perché firmassi il nulla osta per autotagliarmi dalla fiction Un buona stagione. Ovviamente ho risposto di no, più e più volte, e i produttori e la Rai hanno agito comunque senza il mio consenso”. Marescotti peraltro ha recitato in decine di fiction di successo su Rai1 tra le quali ricordiamo Raccontami, I liceali, L’Oriana, Don Matteo.
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Biocarburanti, dietro la battaglia del governo i progetti dell’Eni. Lo studio: “Inquinanti, poco efficienti e non siamo in grado di produrne abbastanza”
Perché per Giorgia Meloni e Matteo Salvini è così cruciale la partita europea – al momento persa – sull’inclusione dei biocarburanti tra i combustibili utilizzabili dai motori termici anche dopo il 2035? La risposta è semplice: come è sempre accaduto, politica estera ed energetica sono legate a doppio filo ai piani dell’Eni. Basta leggere la memoria sul pacchetto Ue Fit for 55 presentata in Parlamento un anno fa dal Cane a sei zampe, al centro in questi giorni del risiko per il rinnovo dei vertici delle partecipate pubbliche. Lì, a pagina 5, il gruppo del petrolio e del gas scriveva di ritenere necessario “correggere l’attuale approccio che non considera le minori emissioni dei biocarburanti ai fini del rispetto degli standard emissivi” e di auspicare che la Commissione “si esprima e si impegni a favore dello sviluppo di un quadro di policy in grado di supportare efficacemente la produzione di biocarburanti sostenibili utilizzabili in purezza”. Come il suo HVOlution “composto al 100% da olio vegetale idrogenato puro“, in vendita da fine febbraio più di un mese.
Per il Cane a sei zampe, che ha chiuso il 2022 con un utile triplicato rispetto all’anno prima grazie all’esplosione dei prezzi degli idrocarburi, investire nei biocarburanti è più un obbligo che una scelta. Una direttiva Ue impone infatti ai produttori di mettere in commercio (dietro incentivi statali) una certa quota di biofuel. Così, dopo aver trasformato gli stabilimenti di Venezia e Gela in bioraffinerie, Eni ne sta progettando un’altra a Livorno e nel 2018 ha rilevato le attività nel settore del fallito gruppo Mossi & Ghisolfi e il suo impianto di Crescentino. Attraverso la controllata Eni Sustainable mobility è già il secondo produttore europeo di olio vegetale idrogenato (Hvo), punta a una capacità di bioraffinazione di oltre 5 milioni di tonnellate l’anno al 2030 e stando a indiscrezioni intende presentare un progetto legato ai biocarburanti tra quelli da inserire nel nuovo capitolo del Recovery plan (RepowerEu) che il ministro Raffaele Fitto deve inviare a Bruxelles entro fine aprile.
La domanda da farsi è se il suo nuovo biocarburante sia un toccasana in vista della decarbonizzazione dei trasporti. Di certo è un passo avanti rispetto al Diesel+ con una quota di Hvo messo in commercio nel 2016, per il quale l’azienda è stata multata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole in quanto aveva presentato come sostenibile un prodotto in realtà “altamente inquinante” e contenente biodiesel ricavato in gran parte da olio di palma, la cui impronta climatica è superiore a quella del diesel fossile. Ora Eni, prevenendo le critiche, rivendica che le sue bioraffinerie “dalla fine del 2022 sono palm oil free” e utilizzano solo “materie prime di scarto, residui vegetali e olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare”. Sicuramente non a km zero come lascia intendere qualche ministro quando presenta i carburanti bio come alternativa all’auto elettrica con batterie prodotte in Cina. L’olio vegetale viene infatti da un “impianto di raccolta e spremitura dei semi” in Kenya, da cui arriva anche olio di cucina esausto raccolto da “catene di fast food, ristoranti e alberghi”. Altri accordi per lo sviluppo di piantagioni “in terreni marginali e aree degradate” da cui estrarre oli vegetali sono stati firmati con Angola, Congo, Costa d’Avorio, Mozambico e Ruanda.
Il punto su quale ruolo possano avere gli e-fuel cari alla Germania e i biocarburanti sostenuti da Italia e Paesi dell’Est Europa l’ha fatto qualche giorno fa l’ong basata a Bruxelles Transport & Environment, che si batte per la riduzione delle emissioni nel comparto dei trasporti. Stando alla sua analisi, la “neutralità tecnologica” ipotizzata dal governo italiano in vista del varo della direttiva sullo stop alle auto inquinanti semplicemente non esiste. Nel loro ciclo di vita i veicoli alimentati con questi carburanti generano maggiori emissioni rispetto ai mezzi elettrici e hanno un pessimo impatto sulla qualità dell’aria: “Tanto i biocarburanti quanto gli e-fuels presentano valori emissivi di particolato (PM) e ossidi di azoto (NOx) del tutto simili a quelli prodotti dalla benzina. Questi carburanti non rappresentano una soluzione efficace al gravissimo problema dell’inquinamento atmosferico”.
In più c’è il fatto – cruciale – che la disponibilità di materie prime in quantitativi sostenibili è limitata e dipende ampiamente dall’importazione da paesi extra-europei a cui si rischiano peraltro di sottrarre risorse necessarie per la loro decarbonizzazione (costringendoli a utilizzare oli da colture). La produzione, di conseguenza, rimarrà del tutto insufficiente per le esigenze del parco circolante italiano: i 5 milioni di tonnellate di Hvo che Eni intende produrre al 2030 “potrebbero alimentare al massimo 6,9 milioni di veicoli”, il 20% del totale, calcola la ong, e “con la stessa energia prodotta da questi combustibili, e a parità di chilometraggio, l’elettrificazione diretta permetterebbe di alimentare 24 milioni di veicoli elettrici al 2030 (70% circa del parco circolante italiano), lasciando che i limitati volumi di biocarburanti sostenibili vengano utilizzati per decarbonizzare i settori settori hard-to-abate”, quelli più inquinanti e difficili da riconvertire, come l’aviazione, il trasporto marittimo a lunga percorrenza o l’industria pesante. Un punto di caduta che peraltro trova concorde anche l’ad di Eni, Claudio Descalzi, il quale ha detto di non temere la direttiva Ue perché “per i biocarburanti ci sono l’aviazione e il marittimo”. Solo il governo non se n’è ancora fatto una ragione.
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