Italija
Malore mentre si veste, Maximilian Muzzin muore a 53 anni. Chiamate a vuoto dai colleghi che lo aspettavano a cena
Trump riparte da Waco: «Rieleggetemi, e sarete vendicati. L’America rischia morte e distruzione»
L’ex presidente, che potrebbe essere arrestato già questa settimana, prepara la resistenza tra i suoi fan nella città texana, teatro della terribile strage della setta dei davidiani 30 anni fa. Ora Waco è diventata il luogo simbolo delle milizie d’estrema destra, una Fort Alamo contro lo Stato. Dal palco: «I magistrati? Sono animali. Sono perseguitato»
Come nasce la Costituzione, le parole di Teresa Mattei all'Assemblea costituente: "Finalmente la donna italiana è cittadina"
Messina, con il ritorno del ponte tornano le proteste. Primo incontro pubblico dei comitati che si battono contro l’opera
“Il ponte, così come il presidenzialismo, è un’idea cullata da decenni la cui forza sta nel fatto che non è mai stato realizzato. Lo fosse, forse vedremmo in faccia il mostro e ne avremmo paura”. Michele Ainis, costituzionalista ed editorialista, lo dice mentre sosta sotto il sole, guardando lo Stretto, nel punto più a nord della Sicilia. È qui, nel villaggio di Torre Faro (nel comune di Messina) che dovrebbe sorgere il ponte. Ed è qui che nella piazzetta di Faro si riuniscono per un primissimo incontro pubblico i No Ponte. Un’assemblea pubblica dopo mesi in cui si sono costituiti nuovi comitati. Dopo gli annunci del ministro alle infrastrutture, Matteo Salvini, che ha rilanciato il progetto del ponte resuscitando la Stretto di Messina Spa, da anni in liquidazione, la rete No ponte si è rimessa in moto. Ad animare la protesta ci sono i No Ponte della prima ora a cui si affiancano adesso i nuovi comitati: Spazio No Ponte, No Ponte Capo Peloro e Invece del Ponte, tra gli altri.
Dopo il convegno sul ponte a cui ha preso parte il ministro alle Infrastrutture lo scorso giovedì 23 marzo a Palermo – in cui Salvini ha sottolineato che il ponte sarebbe “una misura antimafia” – arriva la risposta da Messina, la città siciliana dove sorgerà il ponte. Più di 300 persone si sono riunite nella piazza con l’affaccio sullo Stretto, nel punto più vicino alla costa calabra. Un’assemblea per fare ripartire la protesta a cui ha preso parte anche la Cgil di Messina: “Non ritentiamo che sia un’opera che serve ai cittadini – ha detto Pietro Patti, segretario provinciale della Cgil, che è intervenuto durante l’assemblea pubblica contro il Ponte sullo Stretto – abbiamo bisogno di infrastrutture che colleghino tutta la Sicilia, soprattutto nelle aeree interne, si pensi che Messina conta 108 comuni, gran parte dei quali sono sui Nebrodi, dove molti paesi sono mal collegati. Dobbiamo ripensare un altro modo di vivere le città che non sia basato solo su cemento e acciaio. Un modo più vivibile”.
“Dobbiamo assumerci la responsabilità di contrastare questo progetto, in un paese di irresponsabili. Contro un governo che odia i poveri, odia il sud e punta solo a legittimare abusi e prepotenze su persone e territori”, così è intervenuto anche Daniele David, segretario provinciale della Fiom. E sono stati tanti gli interventi nella assolatissima piazza di Torre Faro: “Il Ponte sarebbe la pietra tombale su ogni ipotesi di sviluppo per questi territori, non è un volano ma una vera e propria lapide”, ha detto Massimo Camarata della rete No Ponte. Il movimento contro il ponte non è da ascrivere come l’ennesimo “no”, secondo Elio Conti Nibali, del comitato Invece del ponte: “Dire no all’inutile ponte significa dire sì a tutto quello che è davvero utile per l’area dello Stretto. Pretendiamo di avere le risorse per lo sviluppo sostenibile dei nostri territori, non accettiamo il ricatto che solo con la devastazione di un luogo unico al mondo si possano realizzare le opere veramente necessarie. Basta con la propaganda, diciamo la verità e smascheriamo l’inganno del ponte”. Solo un primissimo incontro pubblico – avvertono i No Ponte – cui ne seguiranno altri in vista di una manifestazione a giugno. Ad agosto sono invece previsti un campeggio e una manifestazione nazionale.
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Additional Tier 1, ecco cosa sono le obbligazioni che spaventano le banche e perché i colossi si stanno blindando
TORINO. «La crisi bancaria si espande su scala globale». Se Bloomberg, la più importante agenzia di stampa al mondo, decide di titolare così di domenica a pranzo, lo stress sui mercati è probabile che sia più elevato di quanto si possa immaginare. ... [Continua a leggere sul sito.]
Dalla strada del Mobile al ponte sul Meduna, i fantasmi della la viabilità: ecco tutte le incompiute
Pescara, bambino di 4 anni morto investito dal trattore forse guidato dal padre
Intervista a Berlusconi: «I cambi in Forza Italia? Decido io, e la linea resta la stessa. L’immobilismo fa male»
Intervista a Berlusconi dopo i cambiamenti in Forza Italia: «Con mia moglie Marta e mia figlia Marina c’è un rapporto fatto di amore, stima e fiducia: ma la responsabilità politica è mia. Lo spostamento di Cattaneo non è una punizione»
Migranti, Elian Gonzales: il piccolo naufrago adesso è parlamentare. Fu conteso tra Cuba e Usa
Migranti, la Guardia costiera contro le ong: “Le chiamate dei loro aerei sovraccaricano i nostri sistemi e duplicano le segnalazioni”
Due giorni di polemiche, il fermo della Louise Michel a Lampedusa, circa 4mila migranti salvati in due giorni e alla fine la Guardia costiera rompe il silenzio. Lo fa per attaccare le ong attive nel Mediterraneo, accusate sostanzialmente di disturbare il coordinamento delle operazioni di soccorso. Se in occasione del naufragio di Cutro, nel quale sono morte almeno 91 persone, la comunicazione del corpo delle Capitanerie era stata silente a lungo, adesso la risposta arriva velocemente. Con una nota di fuoco.
Le accuse sono mirate e ripercorrono molti degli episodi più discussi avvenuti in area Sar italiana, acque internazionali e acque libiche negli ultimi giorni di grande impegno per salvare decine di imbarcazioni in difficoltà nella rotta che dalla Tunisia porta verso le coste italiane. “Le continue chiamate dei mezzi aerei ong hanno sovraccaricato i sistemi di comunicazione del Centro nazionale di coordinamento dei soccorsi, sovrapponendosi e duplicando le segnalazioni dei già presenti assetti aerei dello Stato”, scrive la Guardia Costiera in una nota sottolineando in sostanza quella che viene ritenuta una sorta di azione di disturbo, di intralcio, da parte delle organizzazioni non governative.
Quindi un attacco anche a Sos Méditeranée, in riferimento all’attacco subito dalla motovedetta libica 656, un mezzo fornito dall’Italia alla Guardia costiera di Tripoli: “L’episodio citato dalla ong Ocean Viking e riferito ai presunti spari della guardia costiera libica nella loro area Sar, non veniva riportato al Paese di bandiera, come previsto dalle norme, bensì al Centro di coordinamento italiano, finendo anche questo col sovraccaricare il Centro in momenti particolarmente intensi di soccorsi in atto”. Quindi il conteggio del lavoro svolto dai mezzi di soccorso della Guardia costiera: “Ciononostante – conclude la nota – in 48 ore sono state soccorse, sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana, oltre 3.300 persone a bordo di 58 imbarcazioni”.
Nel comunicato, la Guardia costiera ha anche dato una spiegazione al fermo della Louise Michel dell’omonima ong finanziata da Banksy: dopo aver effettuato il primo intervento di soccorso in acque libiche, la nave – spiega la stessa nota – contravveniva “all’impartita disposizione di raggiungere il porto di Trapani, dirigendosi invece verso altri tre barconi sui quali, peraltro, sotto il coordinamento dell’Imrcc, stavano già dirigendo in soccorso” i mezzi della Guardia Costiera italiana. Per questo, ai sensi decreto Ong voluto dal governo Meloni, si è arrivati al fermo della Louise Michel dopo l’attracco a Lampedusa.
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Riabilitazione dopo un tumore, cosa si può fare per tornare alla «normalità»
Quasi tutti i malati di cancro hanno bisogno di riabilitazione (fisica, psichica o sociale) che li aiuti a ritornare alle condizioni di salute precedenti alla diagnosi o a vivere il meglio possibile durante e dopo le terapie oncologiche. Ecco cosa si può fare e quando: la fotografia scattata dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia
Tinto Brass compie 90 anni: una vita tra censure, tribunali e voyeurismo. Tutte le muse e le attrici del maestro dell’eros d’autore
Chissà come sarebbe stata diversa la vita di Tinto Brass se non fosse nato in Italia, culla del cristianesimo e sede del Vaticano. Ma il maestro dell'erotismo d'autore, 90 anni oggi, è un combattente nato: «Ho passato quasi più tempo nei tribunali ... [Continua a leggere sul sito.]
"Sono un’antifascista e ho deciso da che parte stare". Chi è Pia Klemp, la capitana della nave di Banksy
«Ciao Pia, ho letto la tua storia sui giornali. Mi sembri un tipo tosto». Così inizia la mail che nel 2019 Banksy scrisse a Pia Klemp, la capitana della Luois Michel, la nave finanziata dallo street artist per il salvataggio dei migranti Continua a leggere sul sito.]
SanNolo 2023, il Festival della canzone di Milano per gli emergenti di tutta Italia: ecco chi ha vinto
Un Festival in una delle zone a Nord di Milano più famose per promuovere musicisti, interpreti ed autori emergenti provenienti non solo dalla capitale della Lombardia, ma da tutta Italia. Si è conclusa ieri, dopo tre giorni di musica e selezioni da parte di giurie di addetti ai lavori, la quinta edizione di SanNolo 2023 con la vittoria della cantautrice Ashes con “Mai apposta”, seguita da Solochiara con “Trovo Tutto Quando Ti Perdo” e Il Solito Dandy con “Dumbo”. SanNolo è organizzato da Lorenzo Campagnari (autore tv di trasmissioni come “X Factor” e presentatore) e Matteo Russo (imprenditore di NoLo), vanta cinque edizioni, sold out – quella in pandemia online nel 2020 è stata vista da 10mila persone collegate in streaming – e la presenza, nel corso degli anni, di ospiti musicali e dello spettacolo di spicco nel panorama nazionale come Ambra Angiolini, Dargen D’Amico, Arisa, Levante e Malika Ayane.
La rassegna è realizzata con il contributo di Fondazione di Comunità Milano, che riconosce al Festival la capacità di mobilitare il tessuto sociale del quartiere, arricchire l’offerta culturale di prossimità di Milano e offrire un’opportunità performativa di qualità a giovani performer. Nel 2019 il sindaco di Milano Beppe Sala, è salito sul palco di SanNolo per inaugurare la kermesse musicale ed esprimere il suo sostegno alle iniziative del Festival. Infine anche quest’anno il Festival si è svolto con la collaborazione con il progetto di forestazione urban nella città metropolitana di Milano, Forestami, che ha l’obiettivo di piantare entro il 2030 tre milioni di alberi per far crescere il capitale naturale della città.
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Pescara, bimbo di quattro anni travolto e ucciso da un trattore. Alla guida il padre
Un bambino di quattro anni è morto dopo essere stato travolto da un trattore a Pescara. Alla guida del mezzo, secondo le prime informazioni dei soccorritori, c’era il padre. Il fatto è avvenuto nel pomeriggio in strada del Palazzo.
Sul posto sono intervenuti il 118, che non ha potuto fare altro che constatare il decesso del piccolo, e le forze dell’ordine, che si stanno occupando di tutti gli accertamenti del caso.
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Papa Francesco sui social con un piumino bianco da rapper, milioni di visualizzazioni. Ma è una fake creata dall'intelligenza artificiale
Quel piumino da trapper, uno degli argomenti più discussi da giorni sui social, era soltanto un fake. Un’illusione creata dall’intelligenza artificiale. Continua a leggere sul sito.]
Il giallo di Antonietta Longo, la “decapitata di Castel Gandolfo”: né la testa né l’assassino sono mai stati trovati. Il nipote: “C’entra un aborto clandestino”
Un meccanico e un sacrestano, Antonio Solazzi e Luigi Barboni, il 10 luglio del ’55 raggiungono Castel Gandolfo in moto per una gita sul lago di Albano. Pranzano con dei panini, bevono qualche birretta e affittano un barchino. Fa caldo, uno dei due avverte un malore e si decide di rientrare. Si fermano davanti a un’antica fonte di acqua acetosa: lì a terra, tra il fogliame, c’è il corpo mutilato di una donna senza testa. Sono visibili sul cadavere sette coltellate profonde. Nasce così il caso della “decapitata di Castel Gandolfo”, il femminicidio più illustre della storia d’Italia che ancora rientra tra i delitti irrisolti. Ma la vittima non è solo acefala, sono state strappate via le ovaie e anche l’utero. La salma è a poca distanza dalla riva, dietro a un cespuglio di rovi e coperta con due fogli piegati del Messaggero di martedì 5 luglio. Accanto al cadavere ci sono tracce di sangue ma nessun segno di colluttazione. La testa? È stata tranciata di netto, “forse con un unico colpo preciso, l’assassino potrebbe aver utilizzato una scure. È sicuramente opera di mani esperte, la tecnica usata per l’asportazione degli organi uterini e per l’amputazione della testa è da anatomisti competenti. Sì, non ho dubbi, è il lavoro di un medico”, si legge dai rapporti dell’epoca. Se le cose fossero andate davvero così, la donna poco prima di essere stata ritrovata, avrebbe subito un delicatissimo intervento chirurgico all’utero. Si sospetta un aborto recente.
Secondo il medico legale, la testa è stata staccata con una tecnica che solo un medico conosce. Né la sua testa né l’assassino verranno mai ritrovati. Il fondale del lago Albano è profondo e pieno di anfratti e dirupi scoscesi. Trovare una testa mozzata in quello specchio d’acqua torbida è impossibile. Le indagini sono affidate al commissario Ugo Macera il cui primo compito è dare un nome alla vittima. Mancano gli abiti, l’unico oggetto rimasto sul cadavere è un orologio da polso, di marca Zeus con 15 rubini che segna le ore 3.36. E che sarà fondamentale per identificarla. Il 13 luglio, la notizia finisce sull’edizione mattutina della Cronaca di Roma de l’Unità. Della donna si sa solo che è di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Il Ministero degli Interni fissa una taglia in denaro per chi possa aiutare gli investigatori a risolvere il caso della “donna del lago”: due milioni di lire. Dopo due settimane si scopre che è Antonietta Longo, nata a Mascalucia, nel Catanese, il 25 luglio del 1925. L’oggetto decisivo che offrirà una prova certa sarà il famoso orologino Zeus, un regalo di suo nipote Orazio Reina. Era stato lui ad acquistarlo ma non a Roma, dove Antonietta lavorava come domestica nel quartiere Africano, ma a Camerino, dove Orazio vive con la sua famiglia e dove abitava anche sua zia prima che Antonietta si trasferisse nella capitale.
Ricostruiamo in breve gli ultimi giorni di Antonietta Longo. Il primo luglio, la donna lascia la casa di Cesare Gasparri dove presta servizio: verrà ritrovata morta a Castel Gandolfo, dieci giorni dopo. In quei giorni, fa perdere tutte le tracce. Il cinque luglio scrive una lettera ai familiari in Sicilia, spedita da una buca di Roma Termini, in cui preannuncia un’imminente visita al suo paesino e un nipotino in arrivo. È del 5 luglio anche la copia del quotidiano che viene fatta ritrovare sul suo corpo nudo e mutilato, presumibilmente ad indicarne il decesso. Nessuno sa cosa accade, dove si trova e con chi è Antonietta in quei cinque giorni e soprattutto cosa abbia in mente di fare. Prima di andar via da casa Gasparri, Antonietta ritira dal suo conto postale 231.120 lire. Un prelievo di contanti fulmineo. Ci sono anche tracce documentate di molti acquisti che “Ninetta” fa verso la fine di giugno: vestiti eleganti, biancheria intima, una valigia. A cosa le servono, se non ad andarsene velocemente da casa Gasparri e fuggire con l’uomo che ama? Tutto fa pensare a una fuga d’amore. Quell’amore tanto desiderato dalla giovane domestica meridionale, trapiantata a Roma con il sogno di una vita migliore.










La Roma degli anni ’50 non è solo la città della dolce vita che viene raccontata nei film. La città è violenta, piena di potenziali delinquenti stanchi di vivere ai margini delle borgate e pronti a risalire la scala sociale con il coltello tra i denti. I fattacci di cronaca nera sono frequenti e riempiono le pagine dei giornali dell’epoca con le storie più truci. In questa Roma grassa e un po’ cinica si dipana la parte più intricata della vita di Antonietta.
Ma chi era “Ninetta” Longo? Ripercorriamo la sua breve ma complessa esistenza. La famiglia Longo è originaria di Mascalucia, alle falde dell’Etna, e vive in condizioni di povertà. Antonietta è la quartogenita e a soli quattro anni viene trasferita in un collegio di suore. Ci resta fino al ’46 quando, appena maggiorenne, si trasferisce a Camerino dalla sorella Grazia, dove rimane fino 1949, anno in cui il cognato la presenta ai Gasparri dove va a lavorare come domestica, fino a quel giorno di luglio del ’55 in cui viene tristemente ritrovata. Per la sua famiglia è un dramma insostenibile e di cui si fa fatica a parlare fino a quando lo scorso anno Giuseppe Rena, figlio del nipote Orazio, si dedica a un’impegnativa e complessa ricerca per ricostruire cosa sia accaduto alla zia. Questo lavoro è al centro del suo libro “Io sono Antonietta – cronaca di un delitto”, pubblicato pochi mesi fa.
In seguito alle sue ricerche, lei sostiene che quello di sua zia è stato un delitto premeditato, architettato fin nei dettagli, mascherato da episodio di bruta violenza
Lo suggerisce la narrazione della storia stessa. E non credo che sia avvenuto sulle rive del lago Albano. La storia fu raccontata in maniera distorta dai media dell’epoca, rappresentata in maniera non aderente alla realtà. Tutto quello che è successo sulle rive è una messinscena: se non vuoi fare ritrovare un corpo non gli tagli la testa e gli fai trovare al polso un orologio artigianale da collezione, non di larga produzione. Lo acquistò mio padre da un sacrestano di fiducia.
Forse l’assassino non era un mostro disperato come suggerito dalla scena del crimine, intende?
Assolutamente non era né un sadico né un folle. E non può aver ammazzato mia zia sul lago senza che nessuno possa aver sentito nulla. È stato tutto predisposto per creare un mostro da sbattere in prima pagina. Il taglio sull’addome arriva fino all’apparato riproduttivo, ovaie e utero sono stati strappati: un sadico non ha il tempo di eviscerare un corpo, tagliare la testa e occultarla prima di andare via. Tutto questo è stato fatto in un altro ambiente e l’utero le è stato asportato perché analizzando l’apparato riproduttivo sarebbe venuto fuori qualche elemento fondamentale per le indagini. È quasi certo che mia zia fosse incinta, molti elementi lo avvalorano. Antonietta sognava di diventare madre e recuperare gli anni trascorsi con le suore, in una delle valigie ritrovate al deposito di Termini c’erano dei numeri di “Mani di fata” con foto di corredini per neonati. Che fosse incinta lo ha anche anticipato lei stessa nella lettera spedita ai familiari.
Dov’è finita quella lettera?
Fu presa dagli inquirenti e mai restituita. Alcuni insinuano non sia mai esistita ma mio padre ancora oggi ne ricorda ogni parola. Fu imbucata il 5 luglio e arrivò il 7 in Sicilia dove mio padre la lesse, la strinse tra le mani. Anche se oggi è ultranovantenne, ricorda bene che lei aveva annunciato un nipotino e che da lì a pochi giorni sarebbe arrivata in Sicilia. Gli sembrò strano: se stava davvero venendo a Mascalucia non avrebbe avuto motivo di inviarla anche se era la sua calligrafia, papà la conosceva bene. Ma era una lettera strana, si presume che lei l’abbia scritta o sotto coercizione o che si sia illusa a riguardo. La lettera serviva solo a prendere tempo nei primi giorni di luglio in cui nessuno sa cos’è accaduto e forse per giustificare la sua assenza.
Un noto giornale dell’epoca, “Realtà illustrata”, pubblicò un’intervista a un’amica di Ninetta, la 19enne Lina Federico, anche lei siciliana trapiantata a Roma come domestica, a cui la vittima avrebbe fatto delle confessioni importanti.
Nell’articolo, firmato dal noto giornalista Renato Barneschi, la ragazza dichiarò che mia zia le confessò un giorno di essere incinta e di essere stata abusata dal suo padrone (testuali parole): le disse che era stato il signor Gasparri a metterla in quello stato. Disse all’amica inoltre che Gasparri le aveva promesso di farla abortire da un medico di fiducia e solo per questo motivo rimaneva in quella casa. Era disperata per via del suo fidanzato Antonio, a cui non sapeva come spiegare il suo stato. In un trafiletto a parte, Barneschi scrisse esplicitamente che tutto quello che aveva trascritto era stato riportato in maniera testuale e inviato alla questura perché fossero loro a valutare l’esigenza di accertare quanto dichiarato alla stampa. Ma quella testimonianza non fu tenuta in considerazione, tutto fu insabbiato e archiviato in 48 ore. Che motivo aveva la Federico di fare dichiarazioni così avventate? Se avesse detto cose false sarebbe stata messa in carcere per falsa testimonianza. Era da approfondire quanto dichiarò ma attaccò ambienti facoltosi, dove l’onnipotenza e l’impunibilità sono un dato di fatto.
Lei nel libro sostiene che il commissario Macera sapeva, aveva capito tutto.
Lo disse lui stesso in un’intervista del ’71 quando era già in pensione. Lui aveva il nome dell’assassino ma gli fu imposto il basso profilo dai suoi superiori perché evidentemente avevano subito pressioni importanti. Macera era un superpoliziotto, questo fu l’unico caso che non riuscì a risolvere.
Lei crede che Gasparri fosse implicato nel caso?
Non possiedo verità, non so dire certo chi sia stato l’assassino materiale. Non si può assolutamente dire, sarebbe una forzatura ma la narrazione ce lo indica come un probabile implicato. Fu davvero un delitto? In questa storia per me non esiste un assassino ma una morte avvenuta per aborto clandestino, ma resta un’ipotesi. Antonietta non avrebbe mai abortito, se è successo le sarà stato imposto. In quei giorni a Roma erano ricercati un medico di Lione e la moglie, improvvisamente scomparsi dalla loro abitazione di Monte Mario. Il medico francese era stato radiato dall’albo professionale in quanto noto per aborti illegali privati, pratica da cui i medici italiani si tenevano bene alla larga in quegli anni.
Per Antonietta non fu intentato neanche un processo penale verso ignoti, come reagì la sua famiglia?
Non reagì, semplicemente. La mia famiglia non aveva i soldi per affrontare un processo, le loro condizioni economiche erano molto basse. Questa è una storia di prevaricazione, non siamo tutti uguali davanti alla legge, non fu fatto nulla per arrivare a processo: tante piste e nessun procedimento. Si cercava un mostro ma ad essere mostruosa è la società. Adesso che sono morti tutti, nessun potrà più rendere giustizia ad Antonietta Longo.
A meno che non escano delle carte da qualche Procura che si è occupata del caso…
Mentre lavoravo al libro ho inviato delle richieste di accesso agli atti alla Procura di Velletri, sperando di dessero una mano. Dopo pochi giorni ho ricevuto una telefonata anonima da Castel Gandolfo, non so chi fosse né come abbia avuto il mio numero. Mi disse: “Lei sta cercando notizie, non è importante chi sono io. Lasci perdere perché tanto hanno distrutto tutto”.
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Coco Chanel, dai tailleur in tweet all’iconica camicetta da marinaio: la più grande mostra dedicata alla regina della moda al Victoria & Albert Museum di Londra
Londra si prepara ad accogliere la più grande mostra dedicata all’icona della moda e dello stile che debutterà al Victoria & Albert Museum di South Kensington a partire a prossimo 16 di Settembre: “Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto”. Creata insieme a Palais Galliera, il Museo della Moda della Città di Parigi, la raccolta punta a tracciare un percorso non solo e non tanto biografico della storia della stilista, quanto piuttosto a mettere insieme, in maniera organica, tutti gli elementi che hanno fatto di Chanel la più grande interprete delle esigenze e del bisogno di esprimersi delle donne moderne.









“Gabrielle Coco Chanel disegnava e creava principalmente per se stessa” ed è proprio ascoltando anche se stessa che ha saputo dare le risposte attese da un universo femminile in evoluzione e in piena rivoluzione, protagonista di una grande richiesta di libertà e di indipendenza. Grazie al suo stile di dirompente semplicità, ha liberato da bustini e prigioni ornamentali le donne moderne che chiedevano una nuova e piena affermazione. Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto è una mostra che ha già fatto tappa a Parigi e a Melbourne, ma quello che si sta preparando per Londra sarà diverso, amplificato ed inedito. Oltre 200 modelli, 122 dei quali sono completamente nuovi e mai esposti prima. “Alcuni pezzi – ha spiegato la curatrice, Oriole Cullen, che si era occupata anche della più recente mostra dedicata a “Christian Dior: lo stilista dei sogni” – appartengono a collezioni internazionali e non sono mai stati esibiti, altri hanno più di 100 anni”.
Tra questi, anche accessori, profumi e gioielli tutti appoggiati accanto agli abiti che hanno fatto innamorare personaggi come Lauren Bacall, il cui tweed a due pezzi rosa, che sarà esposto, era stato indossato dall’attrice americana durante una vacanza a Biarritz, nel 1959. Ma c’è anche il tailleur pantalone minimalista nero, di seta, con il quale la fashion editor Diana Vreeland, icona della moda e dello stile negli anni 60, intrattenne i suoi ospiti durante una serata molto glamour organizzata a casa sua a New York.
Sessanta anni di carriera lanciata da pezzi intramontabili come la camicetta con il colletto da marinaio in jersey, del 1916, considerata la vera avanguardia della sua radicale semplicità, per arrivare agli abiti di fine carriera, tra i quali spicca quello di lame’ rosa pallido inserito nella sua ultima collezione nel 1971. Dieci i capitoli nei quali viene suddivisa l’immensa collezione. “Verso una nuova eleganza” è quello introduttivo che va dal suo atelier in Rue Cambon a quelli aperti successivamente a Deauville e a Biarritz. Si prosegue con “L’emergere di uno stile”, un racconto dagli anni ’20 agli anni ’30, quando la firma di Chanel è diventata riconoscibile e drammaticamente innovativa. Quindi “Gli accessori invisibili” segnato dal successo mondiale ottenuto con la fragranza Numero 5 e poi con le linee prodotte per il make-up nel 1924 e lo skincare nel 1927. “Luxury and Line” è incentrato sulle creazioni da sera, i gioielli e le nuove linee create per una nuova eleganza.
“Closing the House” illustra la sua esperienza dal punto di vista anche imprenditoriale, negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale, mentre “The Suit” scorre nel dopoguerra, “Chanel Code” sono i suoi tanti codici iconici e uno tra tutti è quello che definisce un evergreen: 2.55, il codice della borsa più amata di sempre. “Into the evening” con l’arrivo dell’oro e del lame’ per gli abiti da sera degli anni ’50 ed il focus sui gioielli che accompagnerà direttamente verso il gran finale. La collezione primavera estate del 1971 segna il momento in cui Chanel ha reinterpretato se stessa, aggiornando e perfezionando le sue stesse regole, i suoi principi ispiratori in una continua ridefinizione di quella che è stata la quintessenza di uno stile intramontabile.
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Studio Usa: la fecondazione assistita è sicura anche per le donne con sclerosi multipla
Due fattori hanno cambiato la situazione: sono migliorate le tecniche di procreazione assistita e sono arrivati nuovi farmaci per la malattia
