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Trapani, violentissimo scontro frontale tra un Doblò e una Alfa 156 sulla provinciale 16: sei morti e un ferito grave

Ned, 26/03/2023 - 20:27

Ha causato 6 morti, quattro uomini e due donne, e un ferito grave un incidente stradale avvenuto sulla strada provinciale 16, nel rettilineo di Lentina nel trapanese. Nello scontro frontale violentissimo tra un Doblò e una Alfa 156, sono rimaste coinvolte sette persone.

L’incidente avvenuto sulla strada provinciale che dalla statale 187 collega due località turistiche molto note del trapanese, San Vito lo Capo e Custonaci, è avvenuto nel tardo pomeriggio di domenica 26 marzo. L’impatto è stato violentissimo come testimoniano le carcasse delle due auto ridotte a un ammasso contorto di lamiere, tanto che le squadre dei vigili del fuoco, giunte da Trapani e da Alcamo, hanno lavorato a lungo per estrarre i corpi delle persone che erano a bordo.

Cinque delle sei vittime viaggiavano sul Doblò: si tratta dei palermitani Matteo Cataldo, di 70 anni, Maria Grazia Ficarra, di 67 anni, Matteo Schiera, di 72 anni, Danilo Cataldo, di 44 anni, e Anna Rosa Romancino, di 69 anni. Morto anche Vincenzo Cipponeri, 44 anni, di Erice, che era alla guida dell’Alfa 159. In rianimazione nell’ospedale di Trapani è ricoverata Maria Pia Giambona di Erice, 34 anni, che era a bordo della 159 con Cipponeri.

Sul posto, insieme ai vigili del fuoco e alle ambulanze del 118, anche i carabinieri e gli agenti della Polstrada che hanno compiuto i rilievi di rito per accertare le responsabilità e le cause dell’incidente, legate quasi certamente all’alta velocità. La zona dove è avvenuto l’incidente è una delle più rinomate del trapanese per il mare cristallino e la spiaggia di San Vito lo Capo. Anche per questo motivo la strada provinciale 16 è molto trafficata, soprattutto nei week end e in presenza di belle giornate, da turisti e gitanti. Come quasi certamente nel caso delle vittime che venivano da Palermo.

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Israele nel caos: Netanyahu silura il ministro della Difesa. Proteste e scontri in tutto il Paese

Ned, 26/03/2023 - 20:26

Israele nel caos. Dopo il licenziamento da parte del premier Benyamin Netanyahu del ministro della Difesa Yoav Gallant, i leader delle proteste anti riforma della giustizia hanno indetto da subito una manifestazione a Tel Aviv di fronte al ministero della Difesa. Altri manifestanti, negli stessi momenti, hanno indetto un presidio in segno di solidarietà sono scesi sotto la casa dell’ex ministro. Complessivamente sono centinaia di migliaia le persone scese in strada per protestare ancora una volta contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu che, se approvata, lo metterebbe al riparo dal processo per corruzione in cui è imputato. Scontri si sono verificati nelle principali città mentre il console generale di Israele a New York, Asaf Zamir, ha annunciato le sue dimissioni. “Non posso più continuare a rappresentare questo governo”, ha detto. E anche le università annunciano una mobilitazione, con gli atenei in sciopero a tempo indeterminato.

Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha attaccato la decisione di Netanyahu, sostenendo che “il premier può licenziare il ministro, ma non può licenziare la realtà del popolo di Israele che sta resistendo alla follia della maggioranza”. Manifestazioni sono in corso anche a Gerusalemme davanti alla residenza del premier israeliano Benyamin Netanyahu contro il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant. Lo stesso – secondo i media – sta avvenendo a Beersheva e ad Haifa. Intanto si è appreso che il segretario generale dell’Histadrut, il potente sindacato laburista, Arnon Bar-David, ha annunciato una conferenza stampa per domani durante la quale – secondo le stesse fonti – potrebbe annunciare uno sciopero generale.

“Siamo profondamente preoccupati per gli sviluppi in corso in Israele, compreso il potenziale impatto sulla capacità di reazione militare sollevato dal ministro della difesa Yoav Gallant, che sottolinea ulteriormente l’urgente necessità di un compromesso”, ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa John Kirby commentando il licenziamento da parte del premier Netanyahu del ministro, ‘reo’ di aver chiesto di congelare la riforma giudiziaria che sta spaccando Israele. “Come il presidente ha recentemente discusso con Netanyahu direttamente, i valori democratici sono sempre stati, e devono rimanere, un segno distintivo delle relazioni Usa-Israele”, ha aggiunto il portavoce. “Le società democratiche – ha proseguito – sono rafforzate da controlli ed equilibri autentici e i cambiamenti fondamentali dovrebbero essere perseguiti con la più ampia base possibile di sostegno popolare. Continuiamo a sollecitare con forza i leader israeliani a trovare un compromesso il prima possibile basato su un ampio sostegno popolare”.

Ieri Gallant aveva chiesto in un discorso pubblico di fermare la legge di riforma giudiziaria che sta spaccando il Paese in nome dell’unità nazionale. A sostituirlo dovrebbe essere l’attuale ministro dell’Agricoltura Avi Dichter, anche lui del Likud, che aveva scelto di appoggiare la posizione di Gallant per poi ripensarci nello spazio di 24 ore affrettandosi a dichiarare la sua intenzione di votare la riforma.

A rappresentare la necessità per l’esecutivo di serrare i ranghi – mentre altri esponenti del Likud come Yuli Edelstein e David Bitan hanno espresso vicinanza a Gallant – è il tempo. L’intenzione del governo, nonostante il moltiplicarsi delle proteste in piazza, è infatti quella di varare l’intero provvedimento per entro la prossima settimana e, in ogni caso, prima della pausa della Knesset per la Pasqua ebraica. Non a caso per lunedì è in programma una commissione della Knesset che deve esaminare la questione chiave del Comitato di nomina dei giudici della Corte Suprema. L’obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Altra intenzione del premier sarebbe nominare David Amsalem (Likud e noto oppositore dei poteri della Corte Suprema) secondo ministro della Giustizia che affianchi l’attuale responsabile Yariv Levin, ritenuto uno dei due architetti della riforma.

Neanche l’opposizione però intende mollare, e alle proteste di piazza aggiunge le petizioni alla Corte Suprema contro Netanyahu. Il premier ha una settimana di tempo per rispondere alla Corte che ha accolto un’istanza della ong ‘Movimento per la qualità del governo’ che accusa Bibi di aver violato la legge annunciando l’intenzione di occuparsi della riforma: in pieno conflitto di interessi, secondo la ong, visto il processo contro di lui in corso a Gerusalemme. Netanyahu si è fatto scudo di una recentissima legge approvata dalla maggioranza di destra che stabilisce l’incompatibilità di un primo ministro in carica solo in caso di problemi fisici o psichici e non per altro. Intanto, continuano le manifestazioni: gli oppositori sono rimasti tutto il giorno sotto casa di Dichter e di Levin e indetto a Tel Aviv ‘La settimana della democrazia’. I media hanno dato ampio risalto ad una fonte dell’esercito secondo cui – sulla linea di Gallant – i nemici di Israele giudicano ora lo Stato ebraico “debole e limitato nella capacità di reazione” a causa delle spaccature provocate nel Paese dalla riforma e dell’isolamento internazionale.

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Come Mussolini inventò (anche) il populismo: chiusa con Antonio Scurati la VIII Biennale Democrazia di Torino

Ned, 26/03/2023 - 20:17

C’erano oltre mille persone ad ascoltare lo scrittore Antonio Scurati, il padre della trilogia “M”, uno dei casi editoriali degli ultimi anni (da cui presto vedremo anche una serie tv targata Sky Original), a uno degli incontri che oggi hanno chiuso l’VIII edizione di Biennale Democrazia, la manifestazione culturale ideata e presieduta da Gustavo Zagrebelsky. Un’edizione dal titolo “Ai confini della libertà” – che ha visto alternarsi per quattro giorni 220 ospiti da tutto il mondo, in più di 100 incontri – che ha raccolto oltre 48.000 partecipanti e ha visto Torino trasformarsi in un vero e proprio laboratorio di democrazia. La manifestazione è partita giovedì scorso con il dialogo fra la giornalista Francesca Mannocchi e la giornalista ed attivista turca Ece Temelkuran su “Come nasce una dittatura”, anticipato dalla lettura di una lettera della senatrice a vita Liliana Segre. E oggi si è chiusa con Antonio Scurati che ha riflettuto, assieme alla vicedirettrice del Fatto quotidiano Maddalena Oliva, su come “Mussolini inventó (anche) il populismo”.

Il grande successo della trilogia “M” (M – Il figlio del secolo, M – L’uomo della provvidenza, M – Gli ultimi giorni dell’Europa) sta non tanto nell’idea di un “suggestivo ritorno storico, a 100 anni dai fatti che racconto”, spiega Scurati, quanto proprio nella grande attualità di un personaggio come il Mussolini politico. “Io credo che l’attualità di Mussolini dipenda da alcune sue intuizioni su ciò che sarebbe divenuta la politica nell’era delle masse, che allora si apriva e oggi giunge nella sua fase matura”.

Senza mai dimenticare “la mano con cui Mussolini e il fascismo stuprarono l’Italia”, Scurati si concentra sull’altra mano, quella con cui Mussolini riuscì a sedurre l’Italia, passando nel giro di tre anni dall’essere un politico sconfitto, fallito, reietto, al diventare il popolo. Troppo facile, e fuorviante, dire che “oggi loro sono tornati, non voglio fare la parte da copione dello scrittore di sinistra, perché la violenza delle squadre fasciste per le strade non c’è”, risponde Scurati. Ma c’è – ed è più sottile – allora come oggi, una seduzione autoritaria. Il Mussolini inventore del populismo intuì non solo l’importanza dell’identificazione totale tra corpo del leader e popolo (Io sono il popolo. Il popolo sono io); i meccanismi di esclusione dell’estraneo, del diverso, del dissidente; la prontezza da “opportunista funambolico” con cui tradire e rinnegare se stesso (da socialista a fermo persecutore dei socialisti, da anticlericale a clericale, da pacifista a belligerante…). Intuì soprattutto – ed è qui che si fanno più forti certi richiami con l’oggi e con alcuni dei leader politici sulla scena italiana ma non solo – la forza della “semplificazione” e dell’antipolitica (Noi non siamo la politica, siamo l’antipolitica. Noi non siamo un partito, siamo l’anti-partito) contro le vecchie mummie del Palazzo.

Mussolini, spiega Scurati, sostiene che “la democrazia si è rivelata un esperimento fallimentare, il Parlamento complica inutilmente la vita, tutti i problemi si riducono a un unico nemico invasore, il nemico sta di fronte a te e io sto al tuo fianco”. È l’uomo che guida le masse non precedendole e indicando obiettivi alti e lontani, ma “fiuta, come le bestie, il tempo che viene”. E cosa fiuta? Fiuta il malessere, la “paura delle speranze degli altri”. Ed è proprio soffiando su quelle passioni tristi, su quella malinconia di un popolo stanco e impaurito che Mussolini – “dovete immaginarlo come un contenitore vuoto che più soffia è più si riempie e diventa grande” – conquista l’Italia. “La platea che Mussolini si trova davanti al teatro Lirico (…) le facce non sono già più le stesse (…) – scrive Scurati nel suo M – Il figlio del secolo – si notano commercianti, impiegati statali, quadri dirigenti di basso livello, le giacchette dignitose e lise della piccola borghesia impoverita dall’inflazione galoppante”. Cento anni fa, come oggi, quel popolo immalinconito è ancora qui, tra noi.

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Pia Klemp, chi è la capitana della nave Louise Michel di Banksy bloccata a Lampedusa

Ned, 26/03/2023 - 20:07

La migliore definizione su di lei è dell’artista Banksy, che quando quattro anni fa decide di finanziare una missione per soccorrere i migranti in difficoltà nel tratto di mare tra la Libia e l’Italia, le affidato il comando della sua nave: “Un tipo tosto”, disse di Pia Klemp, la capitana tedesca della Louise Michel. E la sua storia appare confermare l’immagine di una donna coerente e intransigente sui principi. Con diversi tratti comuni con Carola Rackete, divenuta nota a livello planetario quando, al comando di un’imbarcazione che aveva soccorso 42 migranti, decise di forzare la chiusura del porto di Lampedusa e fu arrestata.

Tedesche entrambe ma originarie di due città diverse (Klemp di Bonn, Rackete di Preetz) appartengono alla stessa generazione – 39 anni la prima, 35 la seconda – e sono state tutte e due impegnate nelle missioni di soccorso dei migranti in mare della Sea Watch 3. Comune anche la matrice ambientalista: la comandante della Louise Michel ha studiato biologia marina e ha lavorato per diversi anni con l’organizzazione Sea Shepherd, partecipando a missioni internazionali per proteggere la fauna marina.

Comune anche il passaggio dall’impegno per l’ambiente al salvataggio delle vite dei profughi nel Mediterraneo, segnato per tutte e due da strascichi giudiziari. Rackete paga le conseguenze più pesanti con gli arresti domiciliari, revocati dopo quattro giorni, ma il processo si conclude con l’assoluzione. Ancora incerto invece il destino giudiziario di Klemp, relativo a quando era al comando di un’altra nave di soccorso, la Iuventa. Il procedimento è nella fase dell’udienza preliminare, l’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e il rischio è di una condanna a 20 anni di carcere. Adesso invece la Louise Michel da lei comandante è in stato di fermo a Lampedusa dopo che sabato, secondo quanto sostiene la Guardia costiera, ha violato il decreto Ong continuando a salvare vite dopo il primo intervento, al termine del quale gli era stato assegnato il porto di Trapani come punto di sbarco.

L’impegno delle due capitane per gli ultimi viene premiato nel 2019 dal Comune di Parigi con un’onorificenza. Ma Klemp rifiuta la medaglia perchè in disaccordo con la politica sui migranti della Francia. Poco tempo dopo riceve la lettera di Banksy che le mette a disposizione i suoi soldi per comprare una barca, che sarà poi intitolata all’anarchica femminista francese Louise Michel. Lei pensa a uno scherzo, poi si rende conto di essere stata scelta per la sua posizione politica, posizione che è molto netta. “Non considero il salvataggio in mare come un’azione umanitaria ma come parte di una lotta antifascista”, chiarisce in quell’occasione, spiegando che il coinvolgimento dell’artista nelle operazioni sarà limitato al sostegno finanziario, ma comune sarà l’obiettivo: salvare vite umane nel Mediterraneo.

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Famiglie Arcobaleno, Gualtieri alla manifestazione di piazza Apostoli: “Noi facciamo un passo avanti, a Roma registreremo figli”

Ned, 26/03/2023 - 19:45

“Io e tutta la nostra amministrazione di Roma pensiamo sia intollerabile che in questo Paese ci sia un gap così grande rispetto agli altri paesi europei. Quindi chiediamo con forza al governo di fare un salto in avanti di civiltà. Noi abbiamo iniziato a farlo, dicendo che faremo le registrazioni di questi atti formati all’estero”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, dal palco del sit-in delle famiglie arcobaleno in piazza Apostoli a Roma.

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Cortina 2026, Olimpiadi e strade fanno vie diverse. E i costi preoccupano: fascicolo della Corte dei conti sulla variante di San Vito

Ned, 26/03/2023 - 19:18

Prime grane giudiziarie per le Olimpiadi invernali 2026 e per i Mondiali di sci che si sono disputati nel 2021 in pieno lockdown. Provengono dalla Procura della Corte dei conti del Veneto che ha aperto un fascicolo sulla “variante” di San Vito di Cadore, una strada lunga poco più di due chilometri, dal costo previsto di 64 milioni di euro.

È stato il procuratore regionale Ugo Montella a disporre un’indagine preliminare, nell’ipotesi che i ritardi abbiano causato un danno erariale. Gli accertamenti, anche se limitati alla variante di San Vito hanno però una portata più ampia visto che entro il 2021 avrebbero dovuto essere realizzate la bellezza di quattro varianti, per le quali non si è neppure arrivati ai cantieri. Oltre a quella di San Vito, anche l’accesso a Cortina d’Ampezzo e due interventi a Tai di Cadore e a Valle di Cadore. I progetti dell’Anas erano finalizzati a favorire il traffico diretto a Cortina per i Mondiali, ma incredibilmente non hanno mai fatto passi avanti significativi.

Intanto le gare di sci si erano celebrate. Alessandro Benetton, presidente della Fondazione Cortina 2021, magnificò la riuscita dell’evento (senza pubblico a causa del Covid). Commissario governativo per la realizzazione sportiva dei mondiali era l’ingegnere Luigi Valerio Sant’Andrea, che un anno fa è stato nominato commissario straordinario per le infrastrutture di Milano-Cortina 2026. Le gare andarono bene, le opere un po’ meno. Lo dimostra l’iniziativa della Corte dei conti, che già a luglio 2022 aveva redatto una preoccupata relazione sulla preparazione olimpica, denunciando la presenza di troppi enti (con relative poltrone) e una sovrapposizione di competenze (con il rischio di spreco di denaro pubblico).

SAN VITO, 6 ANNI DI RITARDO – Alla Corte dei conti è arrivato un esposto del comitato “No variante Anas San Vito di Cadore“, che già si era rivolto al Tribunale superiore per le acque pubbliche, nel tentativo di bloccare l’opera. Non aveva raggiunto l’obiettivo, così ha preparato ora un dossier dopo che a fine anno era stato annunciato l’avvio della fase esecutiva. Anas ha infatti progettato un nuovo percorso di 2,35 chilometri, con due rotatorie e quattro gallerie artificiali antirumore, per togliere il traffico dal centro di San Vito, che è attraversato dalla statale di Alemagna. Ciò implica un aumento dei costi per Anas di una trentina di milioni rispetto al progetto originario del 2017. Siccome sono previsti almeno due anni e mezzo di lavori, la conclusione difficilmente potrebbe avvenire prima del febbraio 2026, quando si svolgeranno le Olimpiadi.

Secondo i cittadini un danno erariale si sarebbe già verificato con l’aggiudicazione dei lavori (avvenuta il 3 marzo, ma non ancora contrattualizzata), perché l’opera sarebbe priva di copertura legislativa e finanziaria. Era stato il decreto Milleproroghe del 2020 a prorogare l’esecuzione dei lavori e a fissare il 31 dicembre 2022 quale termine conclusivo. Siccome quel termine è scaduto, ma l’opera non è nemmeno cominciata, “la variante è illegittima, visto che non vi è stata una proroga”. I ricorrenti sostengono che continuare l’iter “produrrebbe anche danni pubblici, derivanti dalla irreversibile trasformazione dei luoghi, dalle illegittime procedure di esproprio e dagli ingenti importi previsti per le attività propedeutiche ai lavori”.

ALTRE TRE VARIANTI FERME – Il quadro delle incompiute è però più ampio. Per quanto riguarda la variante di Tai, l’investimento non sarà più di 46 milioni, bensì di 68 milioni (con investimento complessivo di 110 milioni). Sarà costruita una galleria della lunghezza di oltre 980 metri, con raccordi sulla viabilità esistente tramite una serie di rotatorie. A Valle di Cadore, per superare la strettoia determinata da un palazzo storico, si dovrà creare una bretella di un chilometro in galleria, che costerà 52,6 milioni di euro (investimento complessivo 75,6 milioni). C’era poi anche il progetto di nuovo accesso a Cortina, che però è rimasto sulla carta. Complessivamente riguardano una spesa di circa 140 milioni di euro. Che si fosse terribilmente in ritardo lo aveva ammesso nel 2018 l’amministratore delegato di Anas, Gianni Vittorio Armani, quando anticipò che difficilmente i lavori si sarebbero conclusi per i mondiali di tre anni dopo. Il rischio è che non lo siano neppure per le Olimpiadi del 2026.

FARO SULLE OLIMPIADI – Milano-Cortina 2026 ha attirato un fiume di soldi. Tra i progetti non sportivi finanziati vi sono 300 milioni di euro per la variante di Longarone e altri 300 milioni per quella di Cortina. La seconda è forse l’opera più ambiziosa e controversa perché sarà scavata completamente in galleria, passando sotto il versante occidentale della montagna.

Nessuno si illude che le due opere saranno pronte per quell’epoca. Di recente, anzi, il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, ha dichiarato: “Abbiamo chiesto al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini di avere contezza delle opere, per capire se la variante di Cortina alla statale 51 di Alemagna si farà o meno, e quali sono i tempi. Alla luce dell’evoluzione che stanno avendo questi progetti, è ipotizzabile che la cantierizzazione del passante avvenga all’incirca otto mesi prima dei Giochi, nell’estate 2025. A questo punto riteniamo opportuno rinviare l’inizio, attendere che sia trascorso l’evento olimpico”.

Un’ammissione che Olimpiadi e strade seguono percorsi diversi, com’è accaduto con i Mondiali. Nel luglio 2022 la Corte dei conti, nel giudizio di parificazione del bilancio della Regione Veneto, aveva lanciato un preoccupato allarme per il rischio di ottenere insufficienti finanziamenti dagli sponsor e per la babele di strutture che intrecciano le rispettive competenze nella preparazione olimpica (Regioni, Fondazione Milano-Cortina, Infrastrutture Milano-Cortina, Comuni…). “Il proliferare di soggetti che intervengono all’interno dello stesso ambito di azione, con contorni che rimangono ancora vaghi, imporrà, volta per volta, il capire chi deve fare cosa, con un aggravio di tempi, procedure e costi. Si auspica pertanto un coordinamento, al fine di evitare ritardi nella esecuzione dei lavori e possibili duplicazioni di attività, con aumento ingiustificato dei relativi costi”.

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Genova, 15enne muore durante una festa in casa: “Aveva fatto incontro di mini-boxe con un amico. Aveva problemi cardiaci”

Ned, 26/03/2023 - 18:45

Un ragazzo di 15 anni è morto sabato sera dopo avere giocato a mini-boxe con alcuni amici in casa di uno di loro, in via Acquarone nel quartiere di Castelletto, a Genova. Il ragazzino, con qualche problema cardiaco, si è accasciato davanti agli altri ragazzi. Sul posto è intervenuto il personale medico del 118 che ha provato a rianimarlo ma per il 15enne non c’è stato nulla da fare. Le indagini sono state affidate ai carabinieri. I militari hanno escluso l’uso di stupefacenti o alcol.

Il gruppo si era riunito a casa per una chiacchiera, invece di uscire. A un certo punto qualcuno trova dei guantoni da boxe e allora decidono di organizzare un mini torneo, più simulazione che altro. Sfide senza usare violenza, simulando soltanto i colpi tanto per fare passare la serata. Prima due, poi altri due. Infine tocca al 15enne, attorno alle 22.30. Il ragazzino indossa i guantoni, uno dei suoi compagni pure. I due si mettono uno di fronte all’altro, fanno finta di stare su un ring. Intorno a loro qualcuno fa il tifo, altri li ignorano e continuano a chiacchierare.

Ma una volta finito quel round lo studente ha cominciato a sentirsi poco bene. Sente un dolore al petto, la testa pesante. Si siede e infine si accascia davanti ai suoi amici sbattendo la testa a terra. I ragazzi all’inizio non hanno capito bene cosa stesse succedendo ma quando il 15enne non si rialza più hanno provato a scuoterlo e a chiamarlo. E capiscono che ha un urgente bisogno di aiuto. Chiamano il 112 e sul posto arriva subito un’ambulanza mandata dal 118 con un’automedica. I medici e i sanitari provano a rianimare il giovane per 40 minuti.

“All’inizio pensavamo stessero scherzando – raccontano alcuni vicini – abbiamo sentito le grida di ragazzini e pensavamo a una bravata. Poi abbiamo visto le luci dell’ambulanza e dei carabinieri e abbiamo capito che era successo qualcosa di grave”. Sul posto sono arrivati i carabinieri e hanno controllato la casa e, una volta terminato, hanno escluso che sia stato fatto uso di stupefacenti. I ragazzi, accompagnati dai genitori, sono stati sentiti per tutta la notte dai militari. La vittima aveva qualche problema cardiaco ma non era considerato particolarmente grave tanto che giocava a tennis anche se non in modo agonistico.

E allora, perché è morto a 15 anni appena? Forse lo sforzo di un round combattuto per gioco potrebbe essergli stato fatale oppure la caduta patita quando ha perso i sensi, che potrebbe avergli causato un violento trauma cranico. Per capire cosa è successo, il sostituto procuratore della procura presso il Tribunale dei minorenni ha disposto l’autopsia. Solo questo atto potrà stabilire se è stato il suo giovane cuore a tradire un ragazzino di appena 15 anni.

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Morto Ivano Marescotti. Addio all’attore per caso che amava Raffaello Baldini e ha illuminato i film di Benigni e Zalone

Ned, 26/03/2023 - 18:11

Addio piccolo grande Ivano. Attore per caso a 40 anni, Ivano Marescotti da Bagnacavallo (Ravenna), geometra comunale prima, caratterista cinematografico sommo e assoluto per Benigni, Zalone e Muccino dopo. Un grande talento comico, un brillante fustigatore politico, un uomo onesto che non si è mai perso tra i vezzi dello showbiz che l’ha voluto su ogni set. Marescotti è morto a 77 anni dopo una lunga malattia. Tante le soddisfazioni artistiche per il ravennate che aveva scelto poi di vivere nel centro di Bologna. La direzione artistica del teatro di Conselice per quasi un decennio, uno spettacolo (La Fondazione) tratto dal poeta romagnolo Raffaello Baldini, e poi i film. Tanti, tantissimi, quasi impossibili da elencare. A partire dalle Strane storie di Sandro Baldoni, L’aria serena dell’Ovest di Soldini, e poi gli exploit clamorosi in Johnny Stecchino e Il mostro di Benigni negli anni ’90; le megaproduzioni internazionali come Hannibal di Ridley Scott e King Arthur con Clive Owen; infine negli anni duemila l’apice da spalla in Cado dalle nubi e Che bella giornata del duo Nunziante/Checco Zalone. Lascia la moglie, ex allieva, sposata in seconde nozze lo scorso anno, Erika Leonelli, e la figlia Iliade avuta con la prima moglie Ifigenia Kanarà.

Marescotti, da impiegato comunale ed attore. “Per fare il mio mestiere ci vuole “Oc, stomich e bus de cul”. “Oc” perché devi essere nel momento giusto al punto giusto, “stomich” perché per andare avanti devi mandare giù rospi, “bus di cul” perché senza questo gli altri due…” Eccolo il bus di cul di Ivano. Quando nell’estate del 1980 non va in ferie e sostituisce un amico attore in uno spettacolino teatrale per bambini alla Montagnola di Bologna. I bimbi si divertono un mondo e Marescottii a quasi 40 anni sceglie di fare l’attore. Via l’impiego fisso per le incertezze del palco. Questo è stomich, insomma. Perché ci vuole coraggio a buttarsi nel vuoto. Amava dire, Ivano, che mentre gli altri diventavano craxiani e berlusconiani lui si dava al teatro. Strada impervia quella intrapresa, quintali di dizione che scioglie le ruvidità del dialetto romagnolo a leggere romanzi in un istituto per ciechi, e poi le chiamate che arrivano e rispondono al nome di Leo De Berardinis, Marco Martinelli, Giorgio Albertazzi. C’è la comparsata che sfugge in Ginger e Fred di Fellini, e per campare ci vorrebbe qualcosina di più duraturo. Altro bus de cul, o forse Ivano avrebbe detto che ha avuto dell’oc lui, è quando lo nota a teatro Silvio Soldini. Il regista milanese in pieno mood dolente e grigio, vuole Marescotti come co-protagonista (è un chimico) del suo film più antonioniano. È il 1991. L’ex impiegato del comune è diventato sul serio un attore di cinema. Tempo di interpretare il caporedattore del più grande quotidiano italiano che rifiuta il pezzo del giornalista (Corso Salani) che indaga sulla strage di Ustica ed è tempo di Johnny Stecchino. Anzi di Roberto Benigni che appena lo vede si chiede: ma Ivano fino ad oggi dove sei stato? Marescotti diventa spalla, antagonista di Benigni nei panni dell’arcigno dottor Randazzo in uno dei campioni d’incasso italiani di tutti i tempi. Il comico toscano lo rivuole ne Il Mostro, tre anni dopo, dove interpreta Pascucci e duetta più sciolto e sborone col catatonico Loris (Benigni) finendo anche a fare il mimo passivo sotto il fare erotico del corpo elastico del toscanaccio.

Sempre nel ’94 è protagonista assoluto, anche se diviso per tre nei tre episodi di Strane storie di Sandro Baldoni. Memorabile è la parte grottesca del tizio che non ha pagato la bolletta “dell’aria” e che travolto dalla tosse cerca di andare a saldare la morosità in posta mentre ad ogni metro perde sempre più fiato. Sempre negli anni novanta lavora con Pupi Avati, è il papà di Stefano Accorsi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo della Negroni, comincia a lavorare nei film di Carlo Mazzacurati e poi nei primi anni duemila finisce sui set a produzione hollywoodiana come Il talento di Mr. Ripley, Hannibal ma soprattutto è il vescovo Germanius nell’epica storico avventurosa di King Arthur di Antoine Fuqua. “Ho compiuto due bluff clamorosi, visto che non sapevo l’inglese”, ci aveva spiegato Marescotti in un’intervista. “Con Fuqua, una volta che me la sono cavata con il mio inglese maccheronico firmo il contratto e la produzione mi dice “of course, è un film di cavalieri quindi è sottointeso che lei sappia cavalcare”. Io, che al massimo, ho visto i cavalli nei film western ho risposto: “of course”. Tra il 2009 e il 2011 poi la consacra zie da brillante caratterista a fianco di Checco Zalone sia in Cado dalle nubi che in Che bella giornata dove fa il colonnello Mazzini e impazzisce di fronte al ciclone zaloniano. Tra il 2017 e il 2018 una perla e un successo stratosferico: è prezioso coprotagonista di Lovers di Matteo Vicino e nella parte che Muccino voleva per Johnny Dorelli affianca magistralmente la “moglie” Stefania Sandrelli come capoclan della nutrita famiglia protagonista di A casa tutti bene.

Il teatro e la politica. Marescotti ha sempre coltivato con grande umiltà un amore sincero e profondo per il dialetto romagnolo e si è dedicato alle opere di Raffaello Baldini, portandole in scena più volte, tra cui l’apice più organico e formale è La fondazione, una produzione ERT che gira i palchi italiani. Il suo attaccamento al teatro l’ha portato a diventare per quasi dieci anni direttore artistico del teatro di Conselice (Ravenna) e recentemente fondatore di un Accademia che prende il suo nome e che ora ne dovrà onorare la carriera e gli insegnamenti. Fiero antifascista, nel 2014 Marescotti si candida alle Europee nella Lista Tsipras e finisce al centro di un boicottaggio Rai da mettere negli annali. “La Rai ha compiuto un atto di cialtronaggine senza precedenti”, spiegò Marescotti al Fattoquotidiano.it, “Mi hanno cercato alle 9 della mattina di Pasqua e poi per tutto il giorno e anche a Pasquetta. Mi hanno fatto pressione, attraverso la mia agenzia, perché firmassi il nulla osta per autotagliarmi dalla fiction Un buona stagione. Ovviamente ho risposto di no, più e più volte, e i produttori e la Rai hanno agito comunque senza il mio consenso”. Marescotti peraltro ha recitato in decine di fiction di successo su Rai1 tra le quali ricordiamo Raccontami, I liceali, L’Oriana, Don Matteo.

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Biocarburanti, dietro la battaglia del governo i progetti dell’Eni. Lo studio: “Inquinanti, poco efficienti e non siamo in grado di produrne abbastanza”

Ned, 26/03/2023 - 18:01

Perché per Giorgia Meloni e Matteo Salvini è così cruciale la partita europea – al momento persa – sull’inclusione dei biocarburanti tra i combustibili utilizzabili dai motori termici anche dopo il 2035? La risposta è semplice: come è sempre accaduto, politica estera ed energetica sono legate a doppio filo ai piani dell’Eni. Basta leggere la memoria sul pacchetto Ue Fit for 55 presentata in Parlamento un anno fa dal Cane a sei zampe, al centro in questi giorni del risiko per il rinnovo dei vertici delle partecipate pubbliche. Lì, a pagina 5, il gruppo del petrolio e del gas scriveva di ritenere necessario “correggere l’attuale approccio che non considera le minori emissioni dei biocarburanti ai fini del rispetto degli standard emissivi” e di auspicare che la Commissione “si esprima e si impegni a favore dello sviluppo di un quadro di policy in grado di supportare efficacemente la produzione di biocarburanti sostenibili utilizzabili in purezza”. Come il suo HVOlution “composto al 100% da olio vegetale idrogenato puro“, in vendita da fine febbraio più di un mese.

Per il Cane a sei zampe, che ha chiuso il 2022 con un utile triplicato rispetto all’anno prima grazie all’esplosione dei prezzi degli idrocarburi, investire nei biocarburanti è più un obbligo che una scelta. Una direttiva Ue impone infatti ai produttori di mettere in commercio (dietro incentivi statali) una certa quota di biofuel. Così, dopo aver trasformato gli stabilimenti di Venezia e Gela in bioraffinerie, Eni ne sta progettando un’altra a Livorno e nel 2018 ha rilevato le attività nel settore del fallito gruppo Mossi & Ghisolfi e il suo impianto di Crescentino. Attraverso la controllata Eni Sustainable mobility è già il secondo produttore europeo di olio vegetale idrogenato (Hvo), punta a una capacità di bioraffinazione di oltre 5 milioni di tonnellate l’anno al 2030 e stando a indiscrezioni intende presentare un progetto legato ai biocarburanti tra quelli da inserire nel nuovo capitolo del Recovery plan (RepowerEu) che il ministro Raffaele Fitto deve inviare a Bruxelles entro fine aprile.

La domanda da farsi è se il suo nuovo biocarburante sia un toccasana in vista della decarbonizzazione dei trasporti. Di certo è un passo avanti rispetto al Diesel+ con una quota di Hvo messo in commercio nel 2016, per il quale l’azienda è stata multata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole in quanto aveva presentato come sostenibile un prodotto in realtà “altamente inquinante” e contenente biodiesel ricavato in gran parte da olio di palma, la cui impronta climatica è superiore a quella del diesel fossile. Ora Eni, prevenendo le critiche, rivendica che le sue bioraffinerie “dalla fine del 2022 sono palm oil free” e utilizzano solo “materie prime di scarto, residui vegetali e olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare”. Sicuramente non a km zero come lascia intendere qualche ministro quando presenta i carburanti bio come alternativa all’auto elettrica con batterie prodotte in Cina. L’olio vegetale viene infatti da un “impianto di raccolta e spremitura dei semi” in Kenya, da cui arriva anche olio di cucina esausto raccolto da “catene di fast food, ristoranti e alberghi”. Altri accordi per lo sviluppo di piantagioni “in terreni marginali e aree degradate” da cui estrarre oli vegetali sono stati firmati con Angola, Congo, Costa d’Avorio, Mozambico e Ruanda.

Il punto su quale ruolo possano avere gli e-fuel cari alla Germania e i biocarburanti sostenuti da Italia e Paesi dell’Est Europa l’ha fatto qualche giorno fa l’ong basata a Bruxelles Transport & Environment, che si batte per la riduzione delle emissioni nel comparto dei trasporti. Stando alla sua analisi, la “neutralità tecnologica” ipotizzata dal governo italiano in vista del varo della direttiva sullo stop alle auto inquinanti semplicemente non esiste. Nel loro ciclo di vita i veicoli alimentati con questi carburanti generano maggiori emissioni rispetto ai mezzi elettrici e hanno un pessimo impatto sulla qualità dell’aria: “Tanto i biocarburanti quanto gli e-fuels presentano valori emissivi di particolato (PM) e ossidi di azoto (NOx) del tutto simili a quelli prodotti dalla benzina. Questi carburanti non rappresentano una soluzione efficace al gravissimo problema dell’inquinamento atmosferico”.

In più c’è il fatto – cruciale – che la disponibilità di materie prime in quantitativi sostenibili è limitata e dipende ampiamente dall’importazione da paesi extra-europei a cui si rischiano peraltro di sottrarre risorse necessarie per la loro decarbonizzazione (costringendoli a utilizzare oli da colture). La produzione, di conseguenza, rimarrà del tutto insufficiente per le esigenze del parco circolante italiano: i 5 milioni di tonnellate di Hvo che Eni intende produrre al 2030 “potrebbero alimentare al massimo 6,9 milioni di veicoli”, il 20% del totale, calcola la ong, e “con la stessa energia prodotta da questi combustibili, e a parità di chilometraggio, l’elettrificazione diretta permetterebbe di alimentare 24 milioni di veicoli elettrici al 2030 (70% circa del parco circolante italiano), lasciando che i limitati volumi di biocarburanti sostenibili vengano utilizzati per decarbonizzare i settori settori hard-to-abate”, quelli più inquinanti e difficili da riconvertire, come l’aviazione, il trasporto marittimo a lunga percorrenza o l’industria pesante. Un punto di caduta che peraltro trova concorde anche l’ad di Eni, Claudio Descalzi, il quale ha detto di non temere la direttiva Ue perché “per i biocarburanti ci sono l’aviazione e il marittimo”. Solo il governo non se n’è ancora fatto una ragione.

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Messina, con il ritorno del ponte tornano le proteste. Primo incontro pubblico dei comitati che si battono contro l’opera

Ned, 26/03/2023 - 17:25

“Il ponte, così come il presidenzialismo, è un’idea cullata da decenni la cui forza sta nel fatto che non è mai stato realizzato. Lo fosse, forse vedremmo in faccia il mostro e ne avremmo paura”. Michele Ainis, costituzionalista ed editorialista, lo dice mentre sosta sotto il sole, guardando lo Stretto, nel punto più a nord della Sicilia. È qui, nel villaggio di Torre Faro (nel comune di Messina) che dovrebbe sorgere il ponte. Ed è qui che nella piazzetta di Faro si riuniscono per un primissimo incontro pubblico i No Ponte. Un’assemblea pubblica dopo mesi in cui si sono costituiti nuovi comitati. Dopo gli annunci del ministro alle infrastrutture, Matteo Salvini, che ha rilanciato il progetto del ponte resuscitando la Stretto di Messina Spa, da anni in liquidazione, la rete No ponte si è rimessa in moto. Ad animare la protesta ci sono i No Ponte della prima ora a cui si affiancano adesso i nuovi comitati: Spazio No Ponte, No Ponte Capo Peloro e Invece del Ponte, tra gli altri.

Dopo il convegno sul ponte a cui ha preso parte il ministro alle Infrastrutture lo scorso giovedì 23 marzo a Palermo – in cui Salvini ha sottolineato che il ponte sarebbe “una misura antimafia” – arriva la risposta da Messina, la città siciliana dove sorgerà il ponte. Più di 300 persone si sono riunite nella piazza con l’affaccio sullo Stretto, nel punto più vicino alla costa calabra. Un’assemblea per fare ripartire la protesta a cui ha preso parte anche la Cgil di Messina: “Non ritentiamo che sia un’opera che serve ai cittadini – ha detto Pietro Patti, segretario provinciale della Cgil, che è intervenuto durante l’assemblea pubblica contro il Ponte sullo Stretto – abbiamo bisogno di infrastrutture che colleghino tutta la Sicilia, soprattutto nelle aeree interne, si pensi che Messina conta 108 comuni, gran parte dei quali sono sui Nebrodi, dove molti paesi sono mal collegati. Dobbiamo ripensare un altro modo di vivere le città che non sia basato solo su cemento e acciaio. Un modo più vivibile”.

“Dobbiamo assumerci la responsabilità di contrastare questo progetto, in un paese di irresponsabili. Contro un governo che odia i poveri, odia il sud e punta solo a legittimare abusi e prepotenze su persone e territori”, così è intervenuto anche Daniele David, segretario provinciale della Fiom. E sono stati tanti gli interventi nella assolatissima piazza di Torre Faro: “Il Ponte sarebbe la pietra tombale su ogni ipotesi di sviluppo per questi territori, non è un volano ma una vera e propria lapide”, ha detto Massimo Camarata della rete No Ponte. Il movimento contro il ponte non è da ascrivere come l’ennesimo “no”, secondo Elio Conti Nibali, del comitato Invece del ponte: “Dire no all’inutile ponte significa dire sì a tutto quello che è davvero utile per l’area dello Stretto. Pretendiamo di avere le risorse per lo sviluppo sostenibile dei nostri territori, non accettiamo il ricatto che solo con la devastazione di un luogo unico al mondo si possano realizzare le opere veramente necessarie. Basta con la propaganda, diciamo la verità e smascheriamo l’inganno del ponte”. Solo un primissimo incontro pubblico – avvertono i No Ponte – cui ne seguiranno altri in vista di una manifestazione a giugno. Ad agosto sono invece previsti un campeggio e una manifestazione nazionale.

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Migranti, la Guardia costiera contro le ong: “Le chiamate dei loro aerei sovraccaricano i nostri sistemi e duplicano le segnalazioni”

Ned, 26/03/2023 - 17:09

Due giorni di polemiche, il fermo della Louise Michel a Lampedusa, circa 4mila migranti salvati in due giorni e alla fine la Guardia costiera rompe il silenzio. Lo fa per attaccare le ong attive nel Mediterraneo, accusate sostanzialmente di disturbare il coordinamento delle operazioni di soccorso. Se in occasione del naufragio di Cutro, nel quale sono morte almeno 91 persone, la comunicazione del corpo delle Capitanerie era stata silente a lungo, adesso la risposta arriva velocemente. Con una nota di fuoco.

Le accuse sono mirate e ripercorrono molti degli episodi più discussi avvenuti in area Sar italiana, acque internazionali e acque libiche negli ultimi giorni di grande impegno per salvare decine di imbarcazioni in difficoltà nella rotta che dalla Tunisia porta verso le coste italiane. “Le continue chiamate dei mezzi aerei ong hanno sovraccaricato i sistemi di comunicazione del Centro nazionale di coordinamento dei soccorsi, sovrapponendosi e duplicando le segnalazioni dei già presenti assetti aerei dello Stato”, scrive la Guardia Costiera in una nota sottolineando in sostanza quella che viene ritenuta una sorta di azione di disturbo, di intralcio, da parte delle organizzazioni non governative.

Quindi un attacco anche a Sos Méditeranée, in riferimento all’attacco subito dalla motovedetta libica 656, un mezzo fornito dall’Italia alla Guardia costiera di Tripoli: “L’episodio citato dalla ong Ocean Viking e riferito ai presunti spari della guardia costiera libica nella loro area Sar, non veniva riportato al Paese di bandiera, come previsto dalle norme, bensì al Centro di coordinamento italiano, finendo anche questo col sovraccaricare il Centro in momenti particolarmente intensi di soccorsi in atto”. Quindi il conteggio del lavoro svolto dai mezzi di soccorso della Guardia costiera: “Ciononostante – conclude la nota – in 48 ore sono state soccorse, sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana, oltre 3.300 persone a bordo di 58 imbarcazioni”.

Nel comunicato, la Guardia costiera ha anche dato una spiegazione al fermo della Louise Michel dell’omonima ong finanziata da Banksy: dopo aver effettuato il primo intervento di soccorso in acque libiche, la nave – spiega la stessa nota – contravveniva “all’impartita disposizione di raggiungere il porto di Trapani, dirigendosi invece verso altri tre barconi sui quali, peraltro, sotto il coordinamento dell’Imrcc, stavano già dirigendo in soccorso” i mezzi della Guardia Costiera italiana. Per questo, ai sensi decreto Ong voluto dal governo Meloni, si è arrivati al fermo della Louise Michel dopo l’attracco a Lampedusa.

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SanNolo 2023, il Festival della canzone di Milano per gli emergenti di tutta Italia: ecco chi ha vinto

Ned, 26/03/2023 - 17:03

Un Festival in una delle zone a Nord di Milano più famose per promuovere musicisti, interpreti ed autori emergenti provenienti non solo dalla capitale della Lombardia, ma da tutta Italia. Si è conclusa ieri, dopo tre giorni di musica e selezioni da parte di giurie di addetti ai lavori, la quinta edizione di SanNolo 2023 con la vittoria della cantautrice Ashes con “Mai apposta”, seguita da Solochiara con “Trovo Tutto Quando Ti Perdo” e Il Solito Dandy con “Dumbo”. SanNolo è organizzato da Lorenzo Campagnari (autore tv di trasmissioni come “X Factor” e presentatore) e Matteo Russo (imprenditore di NoLo), vanta cinque edizioni, sold out – quella in pandemia online nel 2020 è stata vista da 10mila persone collegate in streaming – e la presenza, nel corso degli anni, di ospiti musicali e dello spettacolo di spicco nel panorama nazionale come Ambra Angiolini, Dargen D’Amico, Arisa, Levante e Malika Ayane.

La rassegna è realizzata con il contributo di Fondazione di Comunità Milano, che riconosce al Festival la capacità di mobilitare il tessuto sociale del quartiere, arricchire l’offerta culturale di prossimità di Milano e offrire un’opportunità performativa di qualità a giovani performer. Nel 2019 il sindaco di Milano Beppe Sala, è salito sul palco di SanNolo per inaugurare la kermesse musicale ed esprimere il suo sostegno alle iniziative del Festival. Infine anche quest’anno il Festival si è svolto con la collaborazione con il progetto di forestazione urban nella città metropolitana di Milano, Forestami, che ha l’obiettivo di piantare entro il 2030 tre milioni di alberi per far crescere il capitale naturale della città.

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Pescara, bimbo di quattro anni travolto e ucciso da un trattore. Alla guida il padre

Ned, 26/03/2023 - 17:01

Un bambino di quattro anni è morto dopo essere stato travolto da un trattore a Pescara. Alla guida del mezzo, secondo le prime informazioni dei soccorritori, c’era il padre. Il fatto è avvenuto nel pomeriggio in strada del Palazzo.

Sul posto sono intervenuti il 118, che non ha potuto fare altro che constatare il decesso del piccolo, e le forze dell’ordine, che si stanno occupando di tutti gli accertamenti del caso.

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Il giallo di Antonietta Longo, la “decapitata di Castel Gandolfo”: né la testa né l’assassino sono mai stati trovati. Il nipote: “C’entra un aborto clandestino”

Ned, 26/03/2023 - 17:00

Un meccanico e un sacrestano, Antonio Solazzi e Luigi Barboni, il 10 luglio del ’55 raggiungono Castel Gandolfo in moto per una gita sul lago di Albano. Pranzano con dei panini, bevono qualche birretta e affittano un barchino. Fa caldo, uno dei due avverte un malore e si decide di rientrare. Si fermano davanti a un’antica fonte di acqua acetosa: lì a terra, tra il fogliame, c’è il corpo mutilato di una donna senza testa. Sono visibili sul cadavere sette coltellate profonde. Nasce così il caso della “decapitata di Castel Gandolfo”, il femminicidio più illustre della storia d’Italia che ancora rientra tra i delitti irrisolti. Ma la vittima non è solo acefala, sono state strappate via le ovaie e anche l’utero. La salma è a poca distanza dalla riva, dietro a un cespuglio di rovi e coperta con due fogli piegati del Messaggero di martedì 5 luglio. Accanto al cadavere ci sono tracce di sangue ma nessun segno di colluttazione. La testa? È stata tranciata di netto, “forse con un unico colpo preciso, l’assassino potrebbe aver utilizzato una scure. È sicuramente opera di mani esperte, la tecnica usata per l’asportazione degli organi uterini e per l’amputazione della testa è da anatomisti competenti. Sì, non ho dubbi, è il lavoro di un medico”, si legge dai rapporti dell’epoca. Se le cose fossero andate davvero così, la donna poco prima di essere stata ritrovata, avrebbe subito un delicatissimo intervento chirurgico all’utero. Si sospetta un aborto recente.

Secondo il medico legale, la testa è stata staccata con una tecnica che solo un medico conosce. Né la sua testa né l’assassino verranno mai ritrovati. Il fondale del lago Albano è profondo e pieno di anfratti e dirupi scoscesi. Trovare una testa mozzata in quello specchio d’acqua torbida è impossibile. Le indagini sono affidate al commissario Ugo Macera il cui primo compito è dare un nome alla vittima. Mancano gli abiti, l’unico oggetto rimasto sul cadavere è un orologio da polso, di marca Zeus con 15 rubini che segna le ore 3.36. E che sarà fondamentale per identificarla. Il 13 luglio, la notizia finisce sull’edizione mattutina della Cronaca di Roma de l’Unità. Della donna si sa solo che è di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Il Ministero degli Interni fissa una taglia in denaro per chi possa aiutare gli investigatori a risolvere il caso della “donna del lago”: due milioni di lire. Dopo due settimane si scopre che è Antonietta Longo, nata a Mascalucia, nel Catanese, il 25 luglio del 1925. L’oggetto decisivo che offrirà una prova certa sarà il famoso orologino Zeus, un regalo di suo nipote Orazio Reina. Era stato lui ad acquistarlo ma non a Roma, dove Antonietta lavorava come domestica nel quartiere Africano, ma a Camerino, dove Orazio vive con la sua famiglia e dove abitava anche sua zia prima che Antonietta si trasferisse nella capitale.

Ricostruiamo in breve gli ultimi giorni di Antonietta Longo. Il primo luglio, la donna lascia la casa di Cesare Gasparri dove presta servizio: verrà ritrovata morta a Castel Gandolfo, dieci giorni dopo. In quei giorni, fa perdere tutte le tracce. Il cinque luglio scrive una lettera ai familiari in Sicilia, spedita da una buca di Roma Termini, in cui preannuncia un’imminente visita al suo paesino e un nipotino in arrivo. È del 5 luglio anche la copia del quotidiano che viene fatta ritrovare sul suo corpo nudo e mutilato, presumibilmente ad indicarne il decesso. Nessuno sa cosa accade, dove si trova e con chi è Antonietta in quei cinque giorni e soprattutto cosa abbia in mente di fare. Prima di andar via da casa Gasparri, Antonietta ritira dal suo conto postale 231.120 lire. Un prelievo di contanti fulmineo. Ci sono anche tracce documentate di molti acquisti che “Ninetta” fa verso la fine di giugno: vestiti eleganti, biancheria intima, una valigia. A cosa le servono, se non ad andarsene velocemente da casa Gasparri e fuggire con l’uomo che ama? Tutto fa pensare a una fuga d’amore. Quell’amore tanto desiderato dalla giovane domestica meridionale, trapiantata a Roma con il sogno di una vita migliore.

La Roma degli anni ’50 non è solo la città della dolce vita che viene raccontata nei film. La città è violenta, piena di potenziali delinquenti stanchi di vivere ai margini delle borgate e pronti a risalire la scala sociale con il coltello tra i denti. I fattacci di cronaca nera sono frequenti e riempiono le pagine dei giornali dell’epoca con le storie più truci. In questa Roma grassa e un po’ cinica si dipana la parte più intricata della vita di Antonietta.

Ma chi era “Ninetta” Longo? Ripercorriamo la sua breve ma complessa esistenza. La famiglia Longo è originaria di Mascalucia, alle falde dell’Etna, e vive in condizioni di povertà. Antonietta è la quartogenita e a soli quattro anni viene trasferita in un collegio di suore. Ci resta fino al ’46 quando, appena maggiorenne, si trasferisce a Camerino dalla sorella Grazia, dove rimane fino 1949, anno in cui il cognato la presenta ai Gasparri dove va a lavorare come domestica, fino a quel giorno di luglio del ’55 in cui viene tristemente ritrovata. Per la sua famiglia è un dramma insostenibile e di cui si fa fatica a parlare fino a quando lo scorso anno Giuseppe Rena, figlio del nipote Orazio, si dedica a un’impegnativa e complessa ricerca per ricostruire cosa sia accaduto alla zia. Questo lavoro è al centro del suo libro “Io sono Antonietta – cronaca di un delitto”, pubblicato pochi mesi fa.

In seguito alle sue ricerche, lei sostiene che quello di sua zia è stato un delitto premeditato, architettato fin nei dettagli, mascherato da episodio di bruta violenza
Lo suggerisce la narrazione della storia stessa. E non credo che sia avvenuto sulle rive del lago Albano. La storia fu raccontata in maniera distorta dai media dell’epoca, rappresentata in maniera non aderente alla realtà. Tutto quello che è successo sulle rive è una messinscena: se non vuoi fare ritrovare un corpo non gli tagli la testa e gli fai trovare al polso un orologio artigianale da collezione, non di larga produzione. Lo acquistò mio padre da un sacrestano di fiducia.

Forse l’assassino non era un mostro disperato come suggerito dalla scena del crimine, intende?
Assolutamente non era né un sadico né un folle. E non può aver ammazzato mia zia sul lago senza che nessuno possa aver sentito nulla. È stato tutto predisposto per creare un mostro da sbattere in prima pagina. Il taglio sull’addome arriva fino all’apparato riproduttivo, ovaie e utero sono stati strappati: un sadico non ha il tempo di eviscerare un corpo, tagliare la testa e occultarla prima di andare via. Tutto questo è stato fatto in un altro ambiente e l’utero le è stato asportato perché analizzando l’apparato riproduttivo sarebbe venuto fuori qualche elemento fondamentale per le indagini. È quasi certo che mia zia fosse incinta, molti elementi lo avvalorano. Antonietta sognava di diventare madre e recuperare gli anni trascorsi con le suore, in una delle valigie ritrovate al deposito di Termini c’erano dei numeri di “Mani di fata” con foto di corredini per neonati. Che fosse incinta lo ha anche anticipato lei stessa nella lettera spedita ai familiari.

Dov’è finita quella lettera?
Fu presa dagli inquirenti e mai restituita. Alcuni insinuano non sia mai esistita ma mio padre ancora oggi ne ricorda ogni parola. Fu imbucata il 5 luglio e arrivò il 7 in Sicilia dove mio padre la lesse, la strinse tra le mani. Anche se oggi è ultranovantenne, ricorda bene che lei aveva annunciato un nipotino e che da lì a pochi giorni sarebbe arrivata in Sicilia. Gli sembrò strano: se stava davvero venendo a Mascalucia non avrebbe avuto motivo di inviarla anche se era la sua calligrafia, papà la conosceva bene. Ma era una lettera strana, si presume che lei l’abbia scritta o sotto coercizione o che si sia illusa a riguardo. La lettera serviva solo a prendere tempo nei primi giorni di luglio in cui nessuno sa cos’è accaduto e forse per giustificare la sua assenza.

Un noto giornale dell’epoca, “Realtà illustrata”, pubblicò un’intervista a un’amica di Ninetta, la 19enne Lina Federico, anche lei siciliana trapiantata a Roma come domestica, a cui la vittima avrebbe fatto delle confessioni importanti.
Nell’articolo, firmato dal noto giornalista Renato Barneschi, la ragazza dichiarò che mia zia le confessò un giorno di essere incinta e di essere stata abusata dal suo padrone (testuali parole): le disse che era stato il signor Gasparri a metterla in quello stato. Disse all’amica inoltre che Gasparri le aveva promesso di farla abortire da un medico di fiducia e solo per questo motivo rimaneva in quella casa. Era disperata per via del suo fidanzato Antonio, a cui non sapeva come spiegare il suo stato. In un trafiletto a parte, Barneschi scrisse esplicitamente che tutto quello che aveva trascritto era stato riportato in maniera testuale e inviato alla questura perché fossero loro a valutare l’esigenza di accertare quanto dichiarato alla stampa. Ma quella testimonianza non fu tenuta in considerazione, tutto fu insabbiato e archiviato in 48 ore. Che motivo aveva la Federico di fare dichiarazioni così avventate? Se avesse detto cose false sarebbe stata messa in carcere per falsa testimonianza. Era da approfondire quanto dichiarò ma attaccò ambienti facoltosi, dove l’onnipotenza e l’impunibilità sono un dato di fatto.

Lei nel libro sostiene che il commissario Macera sapeva, aveva capito tutto.
Lo disse lui stesso in un’intervista del ’71 quando era già in pensione. Lui aveva il nome dell’assassino ma gli fu imposto il basso profilo dai suoi superiori perché evidentemente avevano subito pressioni importanti. Macera era un superpoliziotto, questo fu l’unico caso che non riuscì a risolvere.

Lei crede che Gasparri fosse implicato nel caso?
Non possiedo verità, non so dire certo chi sia stato l’assassino materiale. Non si può assolutamente dire, sarebbe una forzatura ma la narrazione ce lo indica come un probabile implicato. Fu davvero un delitto? In questa storia per me non esiste un assassino ma una morte avvenuta per aborto clandestino, ma resta un’ipotesi. Antonietta non avrebbe mai abortito, se è successo le sarà stato imposto. In quei giorni a Roma erano ricercati un medico di Lione e la moglie, improvvisamente scomparsi dalla loro abitazione di Monte Mario. Il medico francese era stato radiato dall’albo professionale in quanto noto per aborti illegali privati, pratica da cui i medici italiani si tenevano bene alla larga in quegli anni.

Per Antonietta non fu intentato neanche un processo penale verso ignoti, come reagì la sua famiglia?
Non reagì, semplicemente. La mia famiglia non aveva i soldi per affrontare un processo, le loro condizioni economiche erano molto basse. Questa è una storia di prevaricazione, non siamo tutti uguali davanti alla legge, non fu fatto nulla per arrivare a processo: tante piste e nessun procedimento. Si cercava un mostro ma ad essere mostruosa è la società. Adesso che sono morti tutti, nessun potrà più rendere giustizia ad Antonietta Longo.

A meno che non escano delle carte da qualche Procura che si è occupata del caso…
Mentre lavoravo al libro ho inviato delle richieste di accesso agli atti alla Procura di Velletri, sperando di dessero una mano. Dopo pochi giorni ho ricevuto una telefonata anonima da Castel Gandolfo, non so chi fosse né come abbia avuto il mio numero. Mi disse: “Lei sta cercando notizie, non è importante chi sono io. Lasci perdere perché tanto hanno distrutto tutto”.

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Coco Chanel, dai tailleur in tweet all’iconica camicetta da marinaio: la più grande mostra dedicata alla regina della moda al Victoria & Albert Museum di Londra

Ned, 26/03/2023 - 16:45

Londra si prepara ad accogliere la più grande mostra dedicata all’icona della moda e dello stile che debutterà al Victoria & Albert Museum di South Kensington a partire a prossimo 16 di Settembre: “Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto”. Creata insieme a Palais Galliera, il Museo della Moda della Città di Parigi, la raccolta punta a tracciare un percorso non solo e non tanto biografico della storia della stilista, quanto piuttosto a mettere insieme, in maniera organica, tutti gli elementi che hanno fatto di Chanel la più grande interprete delle esigenze e del bisogno di esprimersi delle donne moderne.

“Gabrielle Coco Chanel disegnava e creava principalmente per se stessa” ed è proprio ascoltando anche se stessa che ha saputo dare le risposte attese da un universo femminile in evoluzione e in piena rivoluzione, protagonista di una grande richiesta di libertà e di indipendenza. Grazie al suo stile di dirompente semplicità, ha liberato da bustini e prigioni ornamentali le donne moderne che chiedevano una nuova e piena affermazione. Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto è una mostra che ha già fatto tappa a Parigi e a Melbourne, ma quello che si sta preparando per Londra sarà diverso, amplificato ed inedito. Oltre 200 modelli, 122 dei quali sono completamente nuovi e mai esposti prima. “Alcuni pezzi – ha spiegato la curatrice, Oriole Cullen, che si era occupata anche della più recente mostra dedicata a “Christian Dior: lo stilista dei sogni” – appartengono a collezioni internazionali e non sono mai stati esibiti, altri hanno più di 100 anni”.

Tra questi, anche accessori, profumi e gioielli tutti appoggiati accanto agli abiti che hanno fatto innamorare personaggi come Lauren Bacall, il cui tweed a due pezzi rosa, che sarà esposto, era stato indossato dall’attrice americana durante una vacanza a Biarritz, nel 1959. Ma c’è anche il tailleur pantalone minimalista nero, di seta, con il quale la fashion editor Diana Vreeland, icona della moda e dello stile negli anni 60, intrattenne i suoi ospiti durante una serata molto glamour organizzata a casa sua a New York.

Sessanta anni di carriera lanciata da pezzi intramontabili come la camicetta con il colletto da marinaio in jersey, del 1916, considerata la vera avanguardia della sua radicale semplicità, per arrivare agli abiti di fine carriera, tra i quali spicca quello di lame’ rosa pallido inserito nella sua ultima collezione nel 1971. Dieci i capitoli nei quali viene suddivisa l’immensa collezione. “Verso una nuova eleganza” è quello introduttivo che va dal suo atelier in Rue Cambon a quelli aperti successivamente a Deauville e a Biarritz. Si prosegue con “L’emergere di uno stile”, un racconto dagli anni ’20 agli anni ’30, quando la firma di Chanel è diventata riconoscibile e drammaticamente innovativa. Quindi “Gli accessori invisibili” segnato dal successo mondiale ottenuto con la fragranza Numero 5 e poi con le linee prodotte per il make-up nel 1924 e lo skincare nel 1927. “Luxury and Line” è incentrato sulle creazioni da sera, i gioielli e le nuove linee create per una nuova eleganza.

“Closing the House” illustra la sua esperienza dal punto di vista anche imprenditoriale, negli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale, mentre “The Suit” scorre nel dopoguerra, “Chanel Code” sono i suoi tanti codici iconici e uno tra tutti è quello che definisce un evergreen: 2.55, il codice della borsa più amata di sempre. “Into the evening” con l’arrivo dell’oro e del lame’ per gli abiti da sera degli anni ’50 ed il focus sui gioielli che accompagnerà direttamente verso il gran finale. La collezione primavera estate del 1971 segna il momento in cui Chanel ha reinterpretato se stessa, aggiornando e perfezionando le sue stesse regole, i suoi principi ispiratori in una continua ridefinizione di quella che è stata la quintessenza di uno stile intramontabile.

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“Aiuto, c’è un uomo che sta malissimo sul binario. Potrebbe essere morto di freddo”: passeggera del treno chiama i soccorsi, poi la scoperta incredibile

Ned, 26/03/2023 - 16:30

Quando ha visto quell’uomo ricurvo seduto sulla banchina accanto ai binari non ci ha pensato due volte a chiamare i soccorsi e chiedere aiuto. Peccato che – o meglio, fortunatamente – le cose non erano come sembrava. È quanto successo ad Emma Oban, una passeggera che si è trovata a passare con il treno su cui viaggiava attraverso la stazione di Woking, nel Surrey, Inghilterra. Lì ha visto un uomo seduto su una panchina, ricoperto di neve: “È morto di freddo”, ha subito pensato la donna, chiamando subito il personale della South Western Railway, la società che gestisce quel tratto di ferrovia. Gli addetti le hanno chiesto maggiori dettagli ed è stato così che ha fatto la clamorosa scoperta: “Va bene Emma…quel signore fa parte della stazione, è una scultura simbolo della città“. Al che la donna, sollevata, si è fatta una risata e ha raccontato la storia sui social commentando: “Oh grazie a dio! Era coperto di neve, quindi ho pensato che qualcuno fosse morto congelato!”. L’episodio risale al 2018 ma è tornato attuale sui tabloid britannici in questi giorni quando, in occasione dell'”anniversario”, la signora Oban ha ricondiviso il post commentando: “Cinque anni da questo momento folle. Non invecchia mai”.

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Diletta Leotta incinta, ecco la prima foto “ufficiale” del pancino: lo scatto al tramonto a Dubai

Ned, 26/03/2023 - 16:11

Diletta Leotta sarà presto mamma. L’ipotesi di una gravidanza della conduttrice di Dazn circolava da tempo ma venerdì è arrivata l’ufficialità: lei ed il compagno Loris Karius aspettano un bambino. “Esplodiamo di gioia, noi e la mia pancia”, hanno scritto su Instagram pubblicando un tenero video insieme. E ora ecco arrivare anche la prima foto del pancino: si tratta di uno scatto che immortala Diletta di profilo, mentre sullo sfondo si staglia il tramonto tra i grattacieli di Dubai. Lei sfoggia un costume intero rosso che mette in risalto la pancia che finora aveva invece nascosto giocando con i look. “La nostra prima vacanza insieme”, commenta. E il post è già virale.

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Domenica In, Iva Zanicchi in lacrime per il fratello morto: “Quando parlo di Antonio…”. Poi spiazza Mara Venier: “Con te posso venire e sco*are”

Ned, 26/03/2023 - 16:03

Il ciclone Iva Zanicchi travolge lo studio di Domenica In. L’artista è stata tra i protagonisti della puntata andata in onda domenica 26 marzo, chiamata da Mara Venier per l’omaggio a Paolo Limiti. Ed è stato proprio così che, mentre sugli schermi passavano alcune immagini che la ritraggono assieme al celebre conduttore, l'”aquila di Ligonchio” si è commossa e non ha trattenuto le lacrime: “C’era mio fratello vicino a me”, ha detto indicando una foto. “Amore, sai che non lo sapevo…”, le ha detto Mara Venier cercando di consolarla. “Forse abbiamo anche cantato insieme. Amore… Quando parlo di mio fratello… Dai su, non voglio parlare di mio fratello che mi si scioglie il trucco – ha proseguito Iva tra i singhiozzi -. Odio le persone che piangono in televisione, ma se mi fai vedere mio fratello è come vedere un figlio, hai capito? Vabbè, ora vi racconto una barzelletta, perbacco!”.

E infatti, subito le è tornato il sorriso. Tanto che quando la conduttrice l’ha ringraziata per aver accettato il suo invito lei ha prontamente replicato: “Con te sempre e comunque, posso anche venire e scopare… no, scopare il pavimento! Pulire? Si dice scopare, con la scopa si scopa il pavimento”. E Mara Venier: “Fateme sta tranquilla, ho passato una settimana per Sgarbi”, ha detto riferendosi a quanto successo nella scorsa puntata.”Oh, non si può più dire niente. Dopo ti dico una barzelletta che ti farà cadere dallo sgabello!”, ha quindi sentenziato Iva.

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MotoGp, Bagnaia vince anche la gara della domenica a Portimao. Secondo Vinales, terzo Bezzecchi

Ned, 26/03/2023 - 15:51

Pecco Bagnaia fa doppietta e dopo la gara sprint si prende anche la prima gara intera della Motogp. Il campione del mondo vince davanti a Maverick Vinales su Aprilia e Marco Bezzecchi sulla Ducati del team MooneyVr46. Bello il duello del campione del mondo con il Top Gun della casa di Noale. I due fanno il vuoto dopo un terzo di gara e per dieci giri battagliano sul giro veloce. Bagnaia però si tiene qualcosa per il finale e alla fine vince senza mai essere stato insidiato davvero e senza mai essere andato oltre il secondo di distacco.

Finisce al terzo giro invece la gara di Marc Marquez. Lo spagnolo, la cui irruenza comincia a sovrastare in popolarità il clamore dei titoli mondiali, travolge l’idolo di casa Miguel Oliveira (Rnf Racing Aprilia) e lo abbatte con una manovra da dilettante allo sbaraglio che gli costa i fischi plateali degli spalti di lì a fine gara ogni volta che si affaccia dal box e una probabile frattura al primo metacarpo della mano destra.

La Honda è in difficoltà, si sa, e Marquez con la sua esperienza cerca sempre di metterci del suo per compensare. Ma se la tattica aveva pagato in qualifica, con la smaccata scia di Bastianini, e se pure ieri gli aveva detto bene nonostante i contatti, buttarsi dentro a testa bassa non sembra la migliore idea per portare al termine i 25 giri della gara, tanto che già al primo giro lo spagnolo era incappato in una serie di carenate con Jorge Martin. I commissari di gara hanno stabilito le responsabilità – il primo a chiedere punizioni era stato l’ad di Aprilia, Rivola – e comminato due long lap penalty nella prossima gara (2 aprile, Argentina), ma questo, nonostante le scuse del pilota che ha dato la colpa alle gomme dure, non placa i commenti negativi sullo stile di guida del campione della Honda Repsol che, dopo l’infortunio, è sembrato talmente impaziente di vincere da dimenticare che in motoGp ci si può fare anche tanto male.

Per il resto, la seconda gara di Portimao non eguaglia l’autoscontro della sprint race come emozioni, ma poco ci manca. Abbattuto Oliveira, tra i primi tre e gli inseguitori si crea il vuoto. Dietro si compatta il gruppo con le Ktm di Binder e Miller, la Pramac di Zarco, la Ducati Gresini di Alex Marquez, l’Aprilia di Aleix Espargaro e, negli ultimi giri, la Yamaha di un redivivo Fabio Quartararo. Ad avere la meglio è Zarco, quarto davanti a Binder e Miller. Guizzi e ottavo posto per Quartararo davanti a Espargaro che paga la stanchezza di una rimonta forsennata dopo la partenza pessima e finisce per sbagliare tutto nel finale dopo avere agguantato anche la sesta posizione. La sensazione, vedendo la gara, è che tra gli inseguitori del terzetto di testa ci sia ancora parecchio testosterone avanzato dal sabato: volano sorpassi e sportellate e in generale tutti sembrano al limite. Tanto che alla fine sono più gli errori di traiettoria a decidere che le differenze di prestazione.

Buona notizia? Forse per il circus che temeva un monocolore Ducati. Ma pessima per l’infermeria della motoGp che in due giorni si è riempita a dismisura in tutte le categorie, tanto da far dire proprio a Quartararo – non certo uno che si sottrae alla battaglia – che prima o poi si rischia un incidente grave. Che poi qualcuno lo ascolti, nella motoGp orfana di Valentino Rossi in cerca disperante di popolarità, è tutt’altro discorso.

LA CLASSIFICA DEL MONDIALE DOPO LA PRIMA GARA

1 FRANCESCO BAGNAIA DUCATI 37 2 MAVERICK VIÑALES APRILIA FACTORY RACING 25 3 MARCO BEZZECCHI VR46 RACING TEAM 16 5 JOHANN ZARCO PRAMAC RACING 15 4 JACK MILLER RED BULL KTM FACTORY RACING 15 6 ALEX MARQUEZ GRESINI RACING 12 7 ALEIX ESPARGARO APRILIA FACTORY RACING 11 8 BRAD BINDER RED BULL KTM FACTORY RACING 10 9 JORGE MARTIN PRAMAC RACING 9 10 FABIO QUARTARARO MONSTER ENERGY YAMAHA MOTOGP 8 11 MARC MARQUEZ REPSOL HONDA TEAM 7 12 ALEX RINS LCR HONDA CASTROL 6 13 JOAN MIR REPSOL HONDA TEAM 5 14 TAKAAKI NAKAGAMI LCR HONDA 4 15 MIGUEL OLIVEIRA RNF MOTOGP RACING 3 16 AUGUSTO FERNANDEZ TECH 3 KTM FACTORY RACING 3 17 FRANCO MORBIDELLI MONSTER ENERGY YAMAHA MOTOGP 2 18 RAUL FERNANDEZ RNF MOTOGP RACING 1 19 POL ESPARGARO TECH 3 KTM FACTORY RACING 0 20 ENEA BASTIANINI DUCATI 0 21 LUCA MARINI VR46 RACING TEAM 0 22 FABIO DI GIANNANTONIO GRESINI RACING 0

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Daniel Radcliffe, l’attore di Harry Potter diventa papà: ecco chi è la fidanzata Erin Darke

Ned, 26/03/2023 - 15:49

Cicogna in arrivo per Daniel Radcliffe. L’attore inglese, celebre per aver interpretato il personaggio di Harry Potter nell’omonima saga cinematografica tratta dai romanzi best seller della scrittrice J. K. Rowling, sta per diventare papà. L’annuncio è arrivato da un suo portavoce, che ha ufficializzato la notizia dopo che sui media britannici avevano iniziato a circolare indiscrezioni per alcune foto della sua compagna Erin Darke con un pancino sospetto. Il parto è atteso entro la fine dell’estate. I due sono legati dal 2012, quando si sono conosciuti sul set del film “Kill Your Darlings”: in questi 10 anni hanno sempre tutelato la loro privacy, vivendo il grande amore che li unisce lontano dai riflettori. Ma chi è Erin Darke? Classe 1984, è più grande di Radcliffe di cinque anni ed è conosciuta soprattutto per aver recitato in alcune serie tv.

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